Librazione

 Il QSB nei QSO effettuati via  riflessioni lunari, dipende dalla LIBRAZIONE.

Se andate su Wikipedia trovate scritto:

“In astronomia, il termine librazione (derivato dal latino libra, bilancia) descrive un movimento apparente della Luna relativo allaTerra” e trovate una perfetta immagine che descrive meglio delle parole questo movimento.

Cerchiamo di capire come questo movimento possa influenzare il segnale E.M.E. tra due stazioni. Mi riferisco ad entrambe le stazioni perché, essendo situate in posizioni diverse della Terra, vedono il movimento della Luna in modo diverso l’una dall’altra.

Il segnale trasmesso colpisce la Luna e viene riflesso con due varianti:

a – per effetto della velocità relativa terra-luna subisce uno spostamento della frequenza media (effettoDoppler).

b – l’area  riflettente  ha  un  movimento  di  oscillazione  che  provoca  un doppler  diverso dalle varia zone illuminate   dal segnale, quindi ciò che viene riflesso è la somma (algebrica, cioè somma o sottrazione a seconda  della  fase  relativa)  di  queste  riflessioni, ciascuna della quale ha una frequenza leggermente diversa.

 La stazione ricevente, anch’essa con un qualche movimento relativo, aggiunge i propri effetti, quindi il segnale ricevuto è stato modificato due volte.

Questo allargamento, da una singola frequenza ad uno stretto spettro (Doppler Spread), varia nel tempo e varia a seconda della posizione delle stazioni interessate.

L’allargamento può avere un minimo, ed anche essere in certi istanti nullo.

Il suo massimo è funzione anche della banda usata ed aumenta linearmente con la frequenza; sui 144 MHz è di qualche hertz, per arrivare a quasi 300 Hz a 10 GHz.

 Esaminiamo gli effetti:

1 –Ricezione in CW

E’ noto che la frequenza a cui si dovrà sintonizzare il ricevitore dovrà essere modificata del Doppler, inteso solo come spostamento, non come allargamento.

E’ noto che il segnale ha una variazione periodica di intensità (QSB), rapida o lenta.

Che QSB ci troveremo? Il suo periodo, in secondi, è l’inverso dell’allargamento in Hz.

Se abbiamo un forte allargamento avremo un QSB rapido; se l’allargamento è piccolo, frazione di Hz, avremo un QSB con periodo di qualche secondo.

Se rapido può alterare il segnale CW, che è un on/inforadio/off, inserendo degli “off” che possono far sparire un punto o spaccare in due punti una linea.

Se lento può cancellare alcuni caratteri.

La classica difesa è trasmettere lentamente e ripetere tante volte il messaggio.

2 –Ricezione in digitale

La modulazione del WSJT è FSK, cioè trasmette tanti toni, con continuità.

In ricezione i toni vanno individuati dall’algoritmo di decodifica.

Se durante il minuto, per effetto dell’allargamento, un tono si sposta fino ad avere alla fine la frequenza iniziale di un altro tono, la decodifica fallisce.

Ecco perché esistono i tre modi A, B, C di JT65, con spaziatura 2,7 Hz per HF e 50 MHz; 5,4 Hz per i 144 ed i 432; 10,8 Hz per i 1296; ed il modo JT4 ha 7 diverse spaziature, la più alta che arriva a 315 Hz, adatto per i 10 GHz.

Vi sarà senz’altro capitato di notare il QSB lento osservando la variazione di luminosità della traccia sul waterfall di JT65; le numerose ripetizioni del messaggio hanno anche qui lo stesso scopo del CW.

Al recente Meeting di Dallas, Joe K1JT ha tenuto un intervento proprio su questi temi, e lo ha messo anche sul suo sito:http:/inforadio//inforadio/www.physics.princeton.edu/inforadio/pulsar/inforadio/K1JT/inforadio/EME2010_K1JT.pdf

Come al solito è un vero piacere leggerlo, per chi ama la tecnica.

Anche su DUBUS 3/inforadio/2010 è comparso un articolo sulla librazione.

QUELLO CHE GLI ASTRONAUTI NON DICONO IN PUBBLICO

Chi ha visto il film “The Right Stuff”, che raccontava la formazione dei piloti per il programma spaziale Usa, ricorderà i test spesso umilianti a cui i futuri astronauti venivano sottoposti. Allora non si sapeva nulla di come il corpo avrebbe reagito in assenza di gravità: si temeva ad esempio che gli occhi potessero galleggiare in testa, o che gli astronauti non avrebbero avuto la forza di ingoiare il cibo, rischiando di morire di fame.      Il tempo ha poi dimostrato che alcune di quelle paure non erano del tutto infondate: il volto effettivamente si gonfia perché il sangue affluisce alla testa, il vomito ti torna in faccia come uno schiaffo, la pipì può allagare la tuta spaziale, ruttare è impossibile senza buttare fuori anche tutto quello che si ha nello stomaco, la sinusite è frequente e ti tappa il naso mentre le papille gustative non assaporano più nulla. Sono noie a cui gli astronauti sono addestrati e a cui sono ora preparati. E tuttavia la Nasa evita di parlare di questi aspetti meno eleganti della vita nello spazio. I circa 550 astronauti oggi viventi sulla terra vengono visti come individui autorevoli, coraggiosi, espressione del dantesco istinto umano di “seguir virtute e canoscenza”. Solo in privato, gli uomini e le donne che hanno vissuto nello spazio sono disposti a raccontare gli incidenti, i momenti imbarazzanti, le piccole ignominie che bisogna subire quando si vive in assenza di gravità. Alcune di queste testimonianze sono state raccolte in “What’s it like in Space”,  un agile libretto di Ariel Waldman,  ex direttrice della Commissione sull’esplorazione spaziale presso la National Academy of Sciences.

Per l’appunto, l’interesse scientifico per queste “piccolezze” sta vivendo un nuovo slancio, visto che si parla con insistenza di un viaggio umano su Marte. In questi stessi giorni ad esempio, il Kings College di Londra ha appena finito uno studio sui rischi che un lungo viaggio spaziale avrebbe sulle mestruazioni delle astronaute: le donne che vanno sulla stazione spaziale o che hanno volato sullo shuttle, hanno finora in gran parte scelto di assumere la pillola. Ma le oltre 50 astronaute che hanno lasciato la terra finora, lo hanno fatto per periodi al massimo di qualche mese, mentre il viaggio su Marte richiederebbe tre anni, ed è stato calcolato che ogni astronauta si dovrebbe portare oltre 1100 pillole, abbastanza da diventare un elemento ingombrante nel carico già complesso per un viaggio così lungo.    E a parte le mestruazioni, tutti dovrebbero tollerare per periodi ben più lunghi gli stessi fenomeni irritanti che già ora sono così noiosi. L’impossibilità di ruttare, ad esempio. Parrebbe una banalità, ma può causare disturbi, tanto che un astronauta ha scoperto che se si dà una forte spinta contro la paratia della stazione, crea una finta gravità, sufficiente per potergli permettere di spingere il gas intrappolato nello stomaco fino alla bocca e liberarsene senza rimettere anche tutto il cibo semidigerito. E che dire delle sinusiti, così frequenti nella stazione spaziale, curate soprattutto con grandi quantità di zenzero, che però sarebbe difficile portarsi fino a Marte. Alri piccoli incidenti sono oramai stati superati: la pipì che allagava le tute – si è scoperto fra la generale ilarità – era colpa degli astronauti stessi: ogni volta che dovevano scegliere il profilattico che avrebbe incanalato il liquido verso la borsa sigillata, chiedevano misura “large”, evidentemente non indicata per tutti…  La faccia che si gonfia è anche un inconveniente che dura solo tre o quattro giorni, il tempo perché il corpo si abitui all’assenza di gravità e riesca a ridistribuire correttamente di nuovo il sangue in tutto il corpo. I mal di testa di cui sembravano soffrire tutti all’inizio erano dovuti all’improvvisa assenza di caffeina. E tutti hanno oramai imparato che quando sentono conati di vomito, e afferrano la busta apposita, devono anche acchiappare un asciugamano da mettersi davanti alla faccia, per evitare che il rigurgito, rimbalzando, non gli si spalmi su tutto il viso.

Com’è la vita nello spazio, dunque? Gli astronauti che hanno parlato alla signora Waldman sono d’accordo nel descrivere la profonda gioia davanti all’immensa bellezza della Terra, così come l’impressionante senso di gelo e solitudine nel guardare la vastità buia e sconfinata quando si guarda dall’altra parte, verso il resto dell’universo. Tutti riconoscono che la vita nella stazione spaziale è interessante, ma anche scomoda: la difficoltà di dormire in assenza di gravità è per alcuni l’ostacolo maggiore, ma ci sono stati astronauti che si lasciano galleggiare e vanno dolcemente rimbalzando di qua e di là, senza perdere un minuto di sonno. La stranezza di vedersi le braccia galleggiare davanti spinge tutti a tenersele ancorate sotto le ascelle, o a sedercisi sopra, o a chiuderle dentro il sacco a pelo durante il sonno.
E poi c’è la necessità di essere precisissimi: le tute hanno tasche con cerniera, in modo da non lasciare nulla che galleggi nel vuoto. E tuttavia succede spesso, tant’è che c’è un sistema di lieve risucchio, che sulla stazione viene soprannominato “Oggetti Smarriti”: tutto quel che viene dimenticato a galleggiare, non va a intasare tubi o condotte, ma viene risucchiato da una ventola e lì ci si ritrovano gli oggetti più disparati, il burro di cacao, gli auricolari dell’iPod, l’elastico della coda di cavallo.

Una volta la Nasa non era così tollerante: nel 1963 l’astronauta John Young si portò a bordo della Gemini 3 un panino al roast beef da dividere con il compagno Gus Grissom. Un gesto vietatissimo poiché gli astronauti dovevano mangiare solo piccoli cubi di proteine ricoperti di gelatina, per evitare briciole in caduta libera e il rischio di danni irreparabili. E difatti, non appena Young e Grissom si divisero il panino, l’abitacolo si riempì di briciole, e i due si presero una bella lavata di capo. Ma la loro missione era solo di 4 ore, e non successe nulla di terribile. Tuttavia, la Nasa non è ancora riuscita a rendere appetibili i pasti degli astronauti, tant’è che tutti ammettono di preferire i gamberi disidratati, l’unico piatto che conserva un certo sapore. Ricoperti di zenzero, possibilmente, in modo da dare una bella scossa alle papille gustative.      

La corsa verso lo spazio 

A seguito del lancio del primo satellite artificiale da parte dell’Unione Sovietica (lo Sputnik 1) il 4 ottobre 1957 l’attenzione degli Stati Uniti d’America si è rivolta verso un proprio programma di esplorazione spaziale. Il congresso degli Stati Uniti, allarmato dal possibile pericolo per la sicurezza nazionale e per la possibile perdita della leadership tecnologica, chiesero al presidente Dwight D. Eisenhower un’azione immediata. Dopo alcuni mesi di dibattito, si decise per la creazione di una nuova agenzia federale civile per le attività spaziali che rilevasse le attività della vecchia agenzia aeronautica (NACA). 

Il 29 luglio 1958 il presidente Eisenhower firmò l’atto di costituzione della National Aeronautics and Space Administration (NASA), che iniziò le sue attività nell’ottobre dello stesso anno.

I primi programmi della NASA erano incentrati sulla possibilità di missioni umane nello spazio, sotto la spinta della competizione tra USA e URSS dovuta allaguerra fredda (la corsa allo spazio). Il programma Mercury fu il primo programma della NASA volto a stabilire se l’uomo poteva viaggiare nello spazio. 

Il 5 maggio 1961 l’astronauta Alan Shepard fu il primo americano nello spazio, pilotando il Mercury 3 in un volo suborbitale di 15 minuti. 

John Glenn fu invece il primo americano a compiere un’orbita attorno alla Terra il 20 febbraio 1962, durante la missione Mercury 6.

L’uomo sulla Luna

Una volta dimostrata la possibilità di voli spaziali umani con il programma Mercury, fu lanciato il Programma Apollo allo scopo di arrivare in orbita lunare. Il 25 maggio 1961, il presidente John F. Kennedy cambiò il programma affermando che gli Stati Uniti avrebbero dovuto far “atterrare un uomo sulla luna e riportarlo sano e salvo sulla terra” entro il 1970.     Il programma Gemini partì subito dopo per sperimentare le tecniche necessarie a quest’ambiziosa missione.

Dopo otto anni di missioni preliminari e la perdita dell’equipaggio dell’Apollo 1, il programma Apollo raggiunse la sua meta il 20 luglio 1969, con l’atterraggio dell’Apollo 11 sulla LunaNeil Armstrong, primo uomo a toccare il suolo lunare pronunciò la celebre frase “un piccolo passo per un uomo, un salto enorme per l’umanità”. Altri dieci astronauti misero piede sul suolo lunare nelle successive missioni Apollo che terminarono nel dicembre 1972.

LO   SHUTTLE   E   LA   STAZIONE   SPAZIALE   "ISS"

 L’International Space Station è iniziata con il modulo Zarya (“Alba” in russo) lanciato per mezzo di un razzo Proton dalla base di Baikonur, in Kazakhstan, il 20 novembre 1998.

Due settimane dopo, lo Space Shuttle durante la missione STS-88 portò in orbita il modulo Unity, il Nodo 1, e lo agganciò a Zarya.
I due moduli, uno Russo e l’altro Americano, hanno fatto da avamposto e hanno rappresentato la concretizzazione di quel concetto di “fratellanza spaziale” che si era cercato fin dal programma Apollo-Sojuz.
Ma andiamo con ordine.
All’inizio degli anni 80 dopo la perdita dello Skylab, rientrato nell’atmosfera prima della disponibilità dello Space Shuttle per assisterlo, la NASA decise di realizzare una Stazione Spaziale che avrebbe chiamato Freedom. Doveva essere la risposta americana alle stazioni spaziali sovietiche Saljut e Mir.
La stazione non ha mai superato la fase di progetto e con la fine della Guerra Fredda il progetto è stato cancellato.

Buon compleanno, ISS!  L’International Space Station, infatti, giovedi 20 novembre 2008 ha compiuto ben dieci anni !

Un risultato straordinario, specie se pensi che, sulla Terra, una casa dopo dieci anni inizia ad avere bisogno di un arredatore (del resto anche la stazione spaziale ha avuto un bel po’ di problemi con toilette e mobilio). Scherzi a parte, era il 20 Novembre del 1998 quando, dal cosmodromo di Baikonur (Kazakistan), parti la missione che portò in orbita il primo modulo della base, chiamato Zarya. Da allora l’ISS ha segnato buona parte della storia delle missioni spaziali, dimostrando che, con un po’ di buona volontà, nazioni diverse e in apparente contrasto, possono collaborare in progetti di immensa portata. E così, dal lavoro congiunto di Stati Uniti, Russia, Europa, Canada e Giappone, è nato questo sogno che ancora oggi prosegue la sua vita stellare.

Le tappe più significative:
1988: lavoro di gruppo

La storia della ISS inizia molto prima del 1998, con una storica collaborazione tra Stati Uniti, Canada, dieci paesi dell’Europa nelle vesti dell’ESA (European Space Agency) e il Giappone. Tra i paesi europei c’è l’Italia.
1993: lo storico accordo
Terminata la “Guerra Fredda”, gli Stati Uniti invitano la Russia a unirsi al progetto. E la risposta è… “Da”!
L’apporto russo è enorme, non solo per l’esperienza (positiva) acquisita con la stazione spaziale MIR, ma per la disponibilità di “Proton” e “Soyuz”, due veicoli in grado di portare in orbita i moduli della base.
20 Novembre 1998: parte la missione

Da Baikonur viene inviato il primo modulo della futura base spaziale: si chiama Zarya (dal russo “alba”), è lungo ben 13 metri e pesa la bellezza di 20 tonnellate. Provvederà a buona parte delle funzioni vitali della futura base: energia, propulsione, controllo direzionale e magazzino.
Settembre 2000: l’equipaggio
Arriva il primo equipaggio della base spaziale, a bordo dello shuttle STS-106.
Novembre 2000: sempre a bordo

Dal Novembre del 2000 la ISS è stata SEMPRE occupata da almeno due astronauti.
Aprile 2001: viva l’Italia !
Grande momento per il Belpaese: Umberto Guidoni è il primo astronauta europeo a salire a bordo della base.
7 Febbraio 2008: laboratorio

Lo shuttle Atlantis, con a bordo i due astronauti europei Hans Schlegel e Lèopold Eyharts, porta il modulo Columbus sulla base. Si tratta del laboratorio spaziale sviluppato dall’ESA, grazie alla collaborazione di 41 aziende provenienti da 14 diversi paesi.

Da allora sono stati eseguiti più di 40 esperimenti scientifici a bordo della ISS.
Aprile 2008: entra in azione l’ATV

L’ATV (Automated Transfer Vehicle), realizzato in Europa, attracca automaticamente e senza piloti umani, alla ISS, portando un carico di 7 tonnellate e mezzo tra cibo, acqua, vestiti, ossigeno e attrezzatura scientifica e meccanica.
Maggio 2008: Huston, serve un idraulico!

SI rompe la toilette della ISS, originando quello che probabilmente è stato in principale problema incontrato dalla base spaziale in questi anni. Gli astronauti sono così costretti a utilizzare il WC della navetta Soyuz, parcheggiata a fianco della base. Il guasto sarà aggiustato solo parecchi giorni dopo, con l’arrivo di pezzi di ricambio.
Settembre 2008: bye bye ATV

L’ATV si stacca dalla base spaziale, portando via un carico di rifiuti e bruciando (apposta) nell’atmosfera con essi.
Ottobre 2008: welcome Richard

Richard Garriot, il celebre designer di videogiochi, si fa un giretto nello spazio a bordo della Soyuz, per poi essere ospitato per qualche giorno sulla ISS.Insomma, vero e proprio turismo spaziale (Garriot è ricco sfondato), anche se l’occasione è buona, per il designer, per promuovere il suo gioco (guarda caso di genere “spaziale”) Tabula Rasa. Il racconto dell’esperienza lo trovi su www.richardinspace.com  

P.S: Garriot è figlio dell’ex-astronauta Owen Garriot, e ha pagato il viaggio ben 30 milioni di dollari.
Novembre 2008: lavori di ristrutturazione

Dopo il guasto alla toilette della base spaziale, parte lo shuttle Endeavour, la cui missione è rifornire la ISS di una toilette aggiuntiva, oltre che di: frigorifero, cucinino, macchina per l’esercizio fisico e nuovi dormitori. Inoltre, arriva un dispositivo in grado di convertire l’urina in acqua potabile.

Dura la vita degli astronauti, anche dopo 10 anni di storia dello spazio!
Attualmente siamo nel “grosso” della costruzione, infatti dopo l’installazione del Nodo 2 eseguita dalla STS-120 dell’ottobre scorso, è stata la volta del modulo Columbus, quel progetto europeo che, riveduto e corretto, farà la parte del leone nella ISS del futuro.
I prossimi voli porteranno il Multipurpose Laboratory Module russo, Nodo 3, Docking Cargo Module ed infine la Cupola, ovviamente inframmezzati da tutti i relativi accessori, come truss, giunti e via dicendo.
In tutto questo l’Italia ha una parte fondamentale, infatti dopo USA e Russia, è il paese è che ha collaborato di più con la realizzazione di questa meraviglia orbitante.
Dalle officine Alenia sono usciti: i 3 “MPLM” (Leonardo, Raffaello e Donatello), il “Nodo 2”, “Columbus”, il “Nodo 3” e la “Cupola”.
L’Italia ha collaborato anche nella realizzazione dell’ATV (Automated Trasfer Vehicle), il modulo di rifornimento europeo per la Stazione.
L’ATV è il veicolo con cui si continuerà a rifornire e far risalire di quota la ISS anche quando non ci sarà più lo Shuttle.     Assieme a lui resteranno i Cargo Progress e le Sojuz per l’equipaggio.
In studio c’è anche il Giapponese HTV, ma è ancora in sperimentazione.

Per ciò che riguarda gli Stati Uniti, pare che l’interesse per la ISS termini con l’era Space Shuttle ed eventualmente si vedrà se il programma americano“Constellation” manterrà le promesse attuali (Primo volo 2014 – sbarco lunare 2020 – Base Lunare permanente 2025 – sbarco su Marte 2028/inforadio/30).
Ci sono i privati che sono potenzialmente interessati ad uno sfruttamento commerciale e fra questi la SpaceX con il Dragon ha già messo le mani avanti.

Durante le missioni dello SHUTTLE,dovreste  poter  vedere,  se  volete  anche  a  tutto  schermo  ( con  un  doppio  click  sull’immagine ),  gli  astronauti  al  lavoro,   se  non   stanno  dormendo  (restano  fasati  con  gli  orari  americani).

Se  non  vi  è  conversazione   con   il  personale  a  terra,  c’é  una voce fuori campo che  spiega  di  tanto  in  tanto  quello  che  avviene  in  orbita.

NASA TV”  trasmette  vari  filmati  “spaziali”  tutto  il  giorno  TUTTI I GIORNI !

Un’astronauta americana di origine indiana, Suni Williams, ha stabilito un nuovo record: la più lunga e ininterrotta permanenza nello spazio per una donna. Lo hanno reso noto fonti della Nasa, l’agenzia spaziale statunitense.             Suni Williams, uno degli ingegneri sulla Stazione internazionale spaziale, ha superato il precedente primato di 188 giorni e 4 ore stabilito dalla connazionale Shannon Lucid nel 1996, hanno precisato le fonti. Non è il primo record stabilito dalla Williams. Nel corso della sua missione, iniziata il 10 dicembre 2006ha totalizzato 29 e 17 minuti in quattro ’uscitè dalla Iss, eclissando il precedente primato della collega Kathryn Thornton. E lo scorso aprile divenne la prima donna astronauta a compiere una maratona orbitale di 4 ore e 24 minuti. 

 L'ASTRONAUTA SUNI  WILLIAMS

STS118
STS117
STS119

Cape Canaveral (Florida, Usa), 16 marzo 2009 – È decollato nella notte diretto alla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) lo shuttle Discovery. Decollo perfetto, ma con un mese di ritardo rispetto alla data inizialmente fissata a causa di una serie di problemi tecnici.

Il Discovery – che rimarrà nello spazio 13 giorni, qualcosa in meno del previsto – ha il compito di portare l’ultimo pezzo che servirà al completamento dei pannelli solari, in grado di fornire energia sufficiente al raddoppio degli ‘abitanti’ nella stazione orbitante. Decisamente spettacolare l’inizio missione: i potenti motori dello shuttle hanno rischiarato l’oscurità della notte senza nubi del cielo del Kennedy Space Center a Cape Canaveral, in Florida. E dopo 8 minuti e mezzo circa, il Discovery, con i suoi 7 astronauti a bordo guidati dal capitano Lee Archambault, era già in orbita.

“Tutto ha funzionato perfettamente”, hanno fatto sapere i tecnici addetti al controllo della missione, nel Centro Spaziale Johnson a Houston, in Texas, poco prima che la navicella entrasse nell’orbita terrestre. Due minuti e cinque secondi dopo il decollo, i razzi propulsori che lo avevano lanciato nello spazio sono caduti nell’Oceano Atlantico.

Il lancio è sicuramente un motivo di sollievo per l’Agenzia Spaziale Statunitense, la Nasa, che aveva calendarizzato l’inizio della missione per il 12 febbraio; ma problemi alle valvole di combustibile hanno ritardato per cinque volte il decollo. L’ultima, la scorsa settimana, quando gli ingegneri avevano individuato una fuga di combustibile, idrogeno gassoso. Lo shuttle, che orbiterà intorno alla terra a oltre 28.00 chilometri all’ora, per 8 giorni rimarrà alloggiato alla Stazione Spaziale che, dopo quasi dieci anni di lavoro, la sua costruzione è ormai quasi conclusa.

Attualmente sono tre gli astronauti che vivono in orbita, a quasi 400 chilometri dalla superficie terrestre; ma l’obiettivo è raddoppiare l’equipaggio a partire da maggio. Lo consentirà proprio il Discovery, che trasporta il quarto e ultimo componente dei pannelli solari che aumenteranno la somministrazione di energia del complesso.

STS-120

L’italiano Paolo Nespoli, astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea, ufficialmente assegnato all’equipaggio del volo shuttle Atlantis STS-120 che  èpartito martedi 23 ottobre 2007 e che ha portato in orbita il Nodo 2, un modulo americano di connessione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS),costruito dall’Italia. 

Nel suo primo volo spaziale, Nespoli esplica il ruolo di “specialista di missione”, aggregandosi a cinque astronauti della NASA: il colonnello dell’Air Force Pamela A. Melroy, comandante della missione STS-120 dello shuttle (seconda donna a ricevere la nomina di comandante di missione); il colonnello della Marina George D. Zamka, pilota e specialista di missione, al suo primo volo; e gli specialisti di missione Scott E. Parazynski, il colonnello dell’esercito Douglas H. Wheelock e il capitano della Marina Michael J. Foreman, anch’egli al suo primo volo spaziale.

LA TOILETTE DELLA STAZIONE SPAZIALE (I.S.S.)

La missione di Nespoli rientra nel contesto dell’accordo tra l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e la NASA, che prevede la fornitura all’ente spaziale americano di tre moduli logistici pressurizzati multifunzionali (Multipurpose Logistic Pressurised Modules – MPLM) in cambio dell’assegnazione all’Italia di un numero di missioni di volo a bordo dello shuttle e di utilizzazione della Stazione Spaziale Internazionale. 

INodo 2 è un modulo pressurizzato che, come i Nodi 1 e 3, connette fra loro i moduli di ricerca, abitativi, di controllo e di attracco della Stazione Spaziale. I Nodi sono usati per controllare e distribuire le risorse tra gli elementi connessi.

Il Nodo 1, Unity, è stato sviluppato dalla NASA ed è stato il secondo elemento della Stazione Spaziale a essere messo in orbita, nel dicembre 1998. I Nodi 2 e 3 sono stati sviluppati per la NASA da industrie europee grazie a un contratto con l’ESA, sotto la responsabilità industriale di Alcatel-Alenia Space.
L’ESA ha assegnato la responsabilità della costruzione dei Nodi 2 and 3 all’ASI, in modo da sfruttare la medesima struttura concettuale utilizzata per il Columbus e per i tre Moduli Logistici Pressurizzati Multifunzionali (Multipurpose Pressurised Logistics Module, MPLM) trasportabili nella stiva dello Shuttle.
Il Nodo 2 è il primo Nodo europeo a essere lanciato.
Servirà come elemento di connessione tra il laboratorio europeo Columbus, il laboratorio statunitense Destiny e quello giapponese Kibo. Sarà anche punto d’attracco del veicolo di trasferimento HII costruito dal Giappone. Sarà dotato di un adattatore per l’attracco dello Space Shuttle e sarà utilizzato anche come punto d’attracco degli MPLM.
Il Nodo 2 è progettato anche per essere una base di lavoro del Canadarm 2 (Space Station Remote Manipulator System), il braccio robotico canadese.
Il Nodo 3 ospiterà l’equipaggiamento di supporto necessario per l’equipaggio permanente dei sei astronauti ed ospiterà anche il modulo di Osservazione Cupola dell’ESA, una cupola da cui verrà operato il braccio robotico Canadarm 2 e dal quale l’equipaggio avrà una vista panoramica dello spazio.

Il lancio del Nodo 2 precederà di pochi mesi quello del laboratorio europeo Columbus, previsto per la fine del 2007, e quindi del laboratorio giapponese. Riprenderà così finalmente la realizzazione del più grande progetto mai realizzato nello spazio, dopo una lunga pausa: ”La Stazione Spaziale è in orbita da sette anni – ha detto il responsabile dell’ESA per le missioni umane, la microgravità e l’esplorazione, Daniel Sacotte – il suo sviluppo era stato bloccato dopo la tragedia del Columbia”.

”Mi sembra di essere un atleta che si è addestrato per correre una maratona e adesso finalmente sono al blocco di partenza”: sorride l’astronauta Paolo Nespoli nel giorno dell’annuncio ufficiale della sua missione sullo shuttle. Nespoli sarà così il quinto italiano ad andare nello spazio, dopo: Franco Malerba, Maurizio Cheli, Umberto Guidoni e Roberto Vittori.

Quella che si prepara ad affrontare è considerata una delle più complesse missioni dello Shuttle, nella quale dovrà essere posizionato il Nodo 2 e sistemati nella posizione definitiva i pannelli solari. Per eseguire queste operazioni i sette membri dell’equipaggio dovranno affrontare ben tre passeggiate spaziali (ognuna della durata di 6 ore e mezza) previste nei 12 giorni della missione.
A coordinare le attività extraveicolari, come un regista, sarà molto probabilmente Nespoli. Si prevede inoltre che l’astronauta (l’unico europeo dell’equipaggio) debba azionare il braccio meccanico dello shuttle per le operazioni di manutenzione delle piastrelle dello scudo termico della navetta.

Appassionato di informatica, immersioni subacquee e volo (ha il brevetto per pilotare aerei da turismo), Nespoli è nato a Milano 50 anni fa. Laureato a Firenze in ingegneria meccanica e poi in ingegneria aerospaziale a New York, è stato istruttore alla Scuola militare di paracadutismo di Pisa e poi incursore del battaglione d’assalto Col Moschin; dal 1991 ha lavorato all’addestramento degli astronauti europei al centro dell’ESA a Colonia e poi alla preparazione dei computer di bordo della vecchia stazione spaziale russa MIR. Gli ultimi otto anni li ha trascorsi negli Stati Uniti, ad addestrarsi nello Johnson Space Center della NASA in vista di un volo sullo shuttle.
”Nei primi due anni di addestramento ho acquisito le qualifiche di base per volare sullo shuttle e sulla Stazione Spaziale Internazionale – ha detto Nespoli – e in teoria sarebbe stato possibile volare già nel 2000, ma ho dovuto aspettare per altri sei anni per una serie di problemi, non ultimo l’incidente del Columbia.
C’è voluto un po’ di tempo in più rispetto allo standard di due-quattro anni, ma non è stato tempo perso: mi è servito per acquisire capacità addizionali”. Fiducioso di volare un giorno nello spazio Nespoli lo è sempre stato, e recentemente aveva anche iniziato un addestramento nel centro russo di Città delle Stelle, dove si preparano i cosmonauti, nell’eventualità di una missione a bordo della Soyuz (con qualche difficoltà tecnica per la statura di Nespoli, troppo elevata per il piccolo abitacolo della navetta russa).
”Ma alla fine – dice con ironia – gli astronauti sono risorse e vengono utilizzati come tutte le altre risorse, come l’energia elettrica a bordo.

Sul sito del ISS Fan Club sono presenti, come sul sito ufficiale d’altra parte ma in maniera piu’ completa e di facile accessibilita’, tutte le frequenze (anche non radioamatoriali) usate dalla ISS.     http:/inforadio//inforadio/www.issfanclub.com

ISS  Frequencies

Amateur Radio Frequencies

FM VOICE for ITU Region 1: Europe-Middle East-Africa-North Asia

  • Downlink 145.800
  • Uplink 145.200

    FM VOICE for ITU Region 2&3: North and South America-Caribbean-Greenland-Australia-South Asia

    • Downlink 145.800
    • Uplink 144.490

      FM VOICE Repeater (Worldwide)

      • Downlink 145.800
      • Uplink 437.800

        AX.25 1200 Bd AFSK Packet Radio (Worldwide)

        • Downlink 145.825
        • Uplink 145.825

          UHF Simplex (rarely used)

          • Downlink 437.550
          • Uplink 437.550

            Other Frequencies

            121.75 FM

            Voice downlink from Soyuz-TM during free flight operations, the frequency also carries ranging information from the TORU remote control docking system, and carries a recovery beacon signal during Soyuz descent (detectable over near-east and south- west Asia)

            130.167 AM

            VHF-2 downlink from Zarya – carries voice (Russian and English) plus packet data, sometimes instead of VHF-1 (during shuttle- docked periods) and sometimes in parallel with VHF-1

            143.625 FM

            VHF-1 downlink, the main Russian comms channel – content similar to VHF-2 – works with Russian ground stations plus White Sands AFB, Dryden Flight Center and Wallops Island in the US

            166.000 AM

            Telemetry during orbital operations of Soyuz-TM and Progress M-1 vehicles, also occasional transmissions from ISS – probably from a docked Soyuz or Progress ferry, it can be heard as a buzz with two distinct peaks at 166.125 and 165.875 MHz

            259.700 AM

            Voice from Space Shuttle during ascent and descent – reported as detectable over east coast US then from Europe about 20 minutes after lift-off, generally silent at other times but has been detected over Europe on the descent orbit

            632.000 634.000 AM

            Telemetry from Zarya module, similar to the 166 MHz transmission with peaks at +/inforadio/- 125 kHz – transmissions not very frequent and seem to be confined to 634 MHz – most likely on passes over eastern Europe – watch out for the Doppler shift at this frequency – it can make the signal appear up to 15 kHz off-frequency

            628.000 630.000 AM

            Telemetry from Zvezda module, transmissions are similar to, and more frequent than those from Zarya and are on command from Moscow – the two transmitters appear to operate in parallel

            922.76 CW

            Beacon from Soyuz-TM and Progress M1 and from the Russian ISS modules – tends to be received in parallel with the 166 MHz or 620-630 MHz transmissions, beware of the Doppler, it ranges +/inforadio/- 23 kHz from the centre frequency

            2265.0 Digital

            S-Band Single Access Telementry Downlink

            15003.4 Digital

            Ku-Band Single Access Downlink. Used for video and large file tranfers.

La frequenza di appoggio con il centro di communicazione russo e’ spesso usata.

La ISS monta 4 antenne usate anche su frequenze radioamatoriali al momento attuale, 3 sono antenne quadribanda (144/inforadio/430/inforadio/1400(1200)/inforadio/2400) piu’ una whip di 2.5 metri progettata per essere usata in HF specialmente sui 29 MHz.

Al momento attuale, l’antenna HF non e’ mai stata usata e pure i 1200/inforadio/2400 MHz NON SONO MAI STATI USATI.

L’AMSAT rimanda a fattibili progetti in analisi l’uso di tale frequenze dalla ISS. Il mondo radioamatoriale invece preme per poter fare in modo che la radio sia riprogrammata e messa in modalita’ trasponder Uhf/inforadio/Vhf quando gli astronauti non adoperano la stessa.

Sembra che vi sia un manuale operativo per l’uso di tale radio, come in tutte le procedure a bordo della ISS, che prevede 15 minuti di preparazione e 10 minuti di operazioni dopo il fine trasmissioni.

Ciao e buon ascolto (spero anche di altri satelliti)  

STS-121

STS-122

La Nasa ha dato il “Via”, per il lancio della missione dello Shuttle Atlantis e del suo equipaggio che è partito il 7 febbraio 2008. 

A bordo c’era il“modulo Columbus”, che è la vera “casa” per gli astronauti europei e ad accompagnarlo  nello spazio,  c’erano  anche  due  astronauti  europei:  

Hans Schlegel, tedesco
Hans Schlegel, tedesco

        Il “modulo Columbus”, costruito dall’Agenzia Spaziale Europea, è il contributo più importante del Vecchio continente nella costruzione della Stazione Spaziale Internazionale. Con l’aggancio del modulo alla struttura orbitante, l’Europa diverrà partner attivo nelle operazioni e nell’utilizzo dell’unica stazione spaziale oggi esistente. “Stiamo ancora analizzando lo Shuttle Discovery da poco tornato a Terra (con a bordo l’italiano Paolo Nespoli) e lo abbiamo trovato davvero in perfette condizioni, il che ci fa sperare in un’altra missione eccellente”, ha detto Wayne Hale, responsabile del programma Shuttle.

Ma cos’è esattamente “Columbus”?

E’ un modulo a forma cilindrica lungo circa 7 metri e largo 4,5. Al suo interno vi sono degli “armadi”, ognuno dei quali permette una serie di esperimenti da condurre in ambiente di microgravità, qual è la situazione nello spazio attorno alla Terra. Vi possono stare fino a dieci armadi, che in termini tecnici si chiamano Ispr, ossiaInternational Standard Payload Rack. Ciascuno ha le dimensioni di una cabina telefonica e funziona indipendentemente da tutti gli altri. Tra questi si possono ricordare quello dedicato alle ricerche sulla fisiologia umana per studiare gli effetti sull’uomo dei voli di lunga durata; quello sui fluidi, per capire gli strani comportamenti che hanno in assenza di gravità e così via. 

All’esterno inoltre è possibile alloggiare degli strumenti per lo studio della Terra o dello spazio profondo.

 Ma cos’è esattamente “Columbus”?

E’ un modulo a forma cilindrica lungo circa 7 metri e largo 4,5. Al suo interno vi sono degli “armadi”, ognuno dei quali permette una serie di esperimenti da condurre in ambiente di microgravità, qual è la situazione nello spazio attorno alla Terra. Vi possono stare fino a dieci armadi, che in termini tecnici si chiamano Ispr, ossiaInternational Standard Payload Rack. Ciascuno ha le dimensioni di una cabina telefonica e funziona indipendentemente da tutti gli altri. Tra questi si possono ricordare quello dedicato alle ricerche sulla fisiologia umana per studiare gli effetti sull’uomo dei voli di lunga durata; quello sui fluidi, per capire gli strani comportamenti che hanno in assenza di gravità e così via. 

All’esterno inoltre è possibile alloggiare degli strumenti per lo studio della Terra o dello spazio profondo.

Tutte le iniziative passano dal “Columbus Control Centre” che si trova in Germania, che fa da interfaccia tra i ricercatori e la Stazione Spaziale.

“Columbus” porta in orbita i primi cinque rack e due moduli che verranno agganciati all’esterno del laboratorio.

Spetterà all’astronauta  Schlegel, con due passeggiate spaziali, alimentare tali esperimenti collegandoli con il laboratorio.

Eyharts invece, dovrà fare da ospite almeno sino al febbraio del 2008, quando un altro Shuttle lo riporterà a Terra.

Columbusè davvero molto importante per l’Agenzia Spaziale Europea, perché ci darà modo di svolgere esperimenti di grande rilievo e di prepararne altri per il futuro”, ha spiegato l’astronauta.

L’aastronauta Paolo Nespoli, ci ha raccontato che al di là dell’importanza specifica di moduli come il Nodo 2 e Columbus, ogni aggiunta di volume abitabile alla stazione è importante in sé, perché dà un po’ di sollievo al problema cronico di dove mettere  le cose. Proprio come accade a ogni casa dove si è vissuto a lungo, e a un certo punto gli armadi scoppiano, i libri sono tutti in doppia fila e in cantina ci si fa strada a fatica fra mobili vecchi e valigie stracolme, anche la stazione spaziale è invasa di “cose”; oggetti di ogni genere e natura, attrezzi standard e attrezzi speciali per speciali esperimenti e funzioni, imballaggi particolari, strumenti, scatole e scatoloni con dentro altri oggetti, altri attrezzi, altri strumenti… il tutto peggiorato dal fatto che eliminare la spazzatura della stazione è possibile, e viene fatto regolarmente, ma non è un’operazione banale.

Dentro la stazione, insomma, c’è un certo casino, una sorta di ”entropia aggravata”; e difatti, l’inventario delle varie attrezzature (incluse, per dire, certe specifiche rondelle o certe particolari viti, ciascuna delle quali ha il suo *singolo* numero di codice e il suo posto esatto) è un elemento cruciale , il cui rispetto può causare frizioni sia tra gli astronauti sia con il controllo a terra.

In pratica, è come se la stazione spaziale fosse una casa superaffollata, a cui di tanto in tanto si aggiunge una nuova stanza o un nuovo armadio. Che finirannno per riempirsi di roba anche loro, ma intanto ti danno quel momentaneo sollievo grazie a cui per due o tre settimane ti sembra di avere una casa bella e ordinata come quelle delle riviste di arredamento.

(www.lastampa.it)

Il «Columbus», dal costo di due miliardi di dollari, doveva essere lanciato nel 1992, in occasione del cinquecentesimo anniversario della scoperta dell’America, ma varie modifiche di progettazione e gli incidenti occorsi alla flotta degli shuttle hanno portato a un ritardo di ben sedici anni.

  L’equipaggio della stazione spaziale e dello shuttle Atlantis sono al lavoro per attivare il laboratorio Columbus dell’Esa europea saldamente agganciato da lunedì alla base orbitale. Finalmente dopo circa vent’anni di attesa e di lavoro il Vecchio Continente ha il suo laboratorio cosmico e nel futuro un astronauta europeo dovrebbe di diritto sostare sulla stazione assieme ad americani, russi e giapponesi. Il prossimo mese, infatti, lo shuttle porterà in orbita anche il laboratorio nipponico Kibo. A quel punto la maggior parte dei moduli abitati previsti sarà nello spazio. Per il completamente della base mancano il “nodo 3”, un modulo analogo al nodo 2 che ha portato in orbita Paolo Nespoli, ma arredato diversamente perché consentirà anche l’abitazione degli astronauti quando non lavorano. Su di esso, inoltre, sarà istallata la cupola che faciliterà le operazioni esterne con il braccio robotizzato della stazione, aumentando la visuale. Sia il nodo 3 che la cupola sono costruiti a Torino da Thales Alenia Space.

NATO IN ITALIA

Ma anche Columbus è nato in gran parte nelle stesse camere bianche torinesi responsabili dell’intera struttura e dell’impianto di condizionamento. Al suo interno ci sono una trentina di esperimenti scientifici e per questo, ancora a Torino, sono stati realizzati alcuni impianti che li consentiranno nei prossimi mesi. Alla Carlo Gavazzi Space di Milano è stato preparato un altro sistema installato all’esterno di Columbus e che permetterà diversi tipi di indagini tra cui il collaudo di un nuovo sistema di propulsione accompagnato poi da una telecamera che effettuerà riprese capaci di mostrare l’ambiente intorno alla grande architettura cosmica.C’è molta tecnologia italiana, dunque, lassù. Ma ora tocca agli scienziati entrare in scena. Dal centro Mars della Telespazio di Napoli si gestiranno esperimenti riguardanti gli effetti provocati dalla gravità su alcune sostanze. Si tratta di esplorare i fenomeni fisici che sono alla base di alcuni processi e che è necessario conoscere per poter realizzare in assenza di gravità materiali impossibili da ottenere sulla Terra.

UN DECENNIO  La vita del laboratorio Columbus costato due miliardi di dollari è stimata in circa una decina d’anni ma al suo interno gli apparati per gli esperimenti possono essere cambiati a seconda dei test da effettuare. Il primo astronauta dell’ESA che governerà il laboratorio è il francese Léopold Eyharts che rimarrà per tre mesi sulla stazione. Disporre di un laboratorio è determinante per poter effettuare con continuità ricerche che oggi erano limitate al tempo di volo dello shuttle. Per questo la stazione quando sarà completata entro il 2010 avrà un equipaggio di sei astronauti per metà dedicati alla vita e al funzionamento della base e per l’altra metà alla ricerca. L’avventura, dunque, sta per incominciare.                    

(www.corriere.it) 

Al via la nuova era spaziale

Un'Astronave senza uomini

Ha portato rifornimenti alla stazione orbitante ISS. 

KOUROU (Guyana Francese) —Domenica mattina 9 marzo 2008, poco prima dell’alba in Europa, dalla base spaziale nella Guyana francese ai bordi della foresta amazzonica è partita la più complicata e più grande astronave automatica mai costruita fin’ora.   Frutto di un pianodell’agenzia europea Esa, il cargo cosmico delle dimensioni di un autobus a due piani, è destinato a garantire i rifornimenti della Stazione Spaziale Internazionale “ISS” che ruota intorno alla Terra a 400 chilometri d’altezza. Lo hanno battezzato “Jules Verne” e infatti c’è molta fantascienza nel viaggio e nelle attività del nuovo veicolo “robotizzato”. Dopo essersi liberato dal lanciatore Ariane-5 che lo ha trasportato oltre l’atmosfera, con i suoi sensori ha  ha trovato la giusta posizione tra le stelle e autoguidandosi con il Gps, è andata  alla ricerca della Stazione Spaziale “ISS”.

Una volta individuata, ha lanciato raggi laser per calibrare l’avvicinamento e arrivare all’aggancio con la precisione di un centimetro e mezzo; il tutto mentre “Verne” e la Stazione corrono alla velocità di 27 mila chilometri orari.      Ora rimarrà unito alla base orbitale per sei mesi e intanto gli astronauti trasferiranno le quasi otto tonnellate di rifornimenti portate dalla Terra: ci sono propellenti, ossigeno, acqua, cibo e strumentazione scientifica. Ma durante la permanenza, “Verne” dovrà compiere un’operazione importante per la sopravvivenza della stessa Stazione. Questa, infatti, rallenta progressivamente per l’attrito causato dalle rare molecole presenti anche a quella quota e quindi si abbassa. Se in qualche modo non venisse rialzata finirebbe per cadere nell’atmosfera. “Verne”, quindi, accenderà i suoi quattro motori e la riporterà nella posizione voluta.      Terminato il soggiorno, il “cargo spaziale” sarà riempito dell’immondizia accumulata sulla Stazione e poi si sgancerà andando a disintegrarsi nell’atmosfera sopra l’Oceano Pacifico per non creare problemi.

Costruire “Verne” è stata un’impresa di altissima ingegneria in vari campi, dai materiali all’elettronica, che in Europa ha coinvolto 1600 tecnici e ingegneri di una trentina di società guidate da Eads-Astriu

«In Italia abbiamo realizzato tutta la sua struttura — precisa Alberto Penazzi, amministratore delegato di Thales Alenia Space —. Oltre il“Verne”, fabbricheremo sei veicoli che garantiranno i collegamenti fino al 2014 impegnando oltre un centinaio di tecnici altamente specializzati ». Altre società italiane (Elsag Datamat, Dataspazio e Selex Galileo) hanno invece contribuito per l’elettronica e i sensori. All’astronave automatica dell’Esa (costata 1,2 miliardi di euro) è legato l’utilizzo della Stazione soprattutto dal 2010 quando lo shuttle della Nasa smetterà di volare.     Allora soltanto, “Verne” soddisfarà le necessità dei rifornimenti necessari alla vita e al lavoro sulla base mentre gli astronauti per arrivarci e tornare dovranno far ricorso alle piccole navicelle russe Soyuz.      Un ulteriore aiuto arriverà dalla altrettanto piccola navicella — sempre russa— Progress capace però di trasportare carichi tre volte inferiori a “Verne”.      Ma il nuovo veicolo europeo è solo un punto di partenza.                                  Gli ingegneri dell’Esa stanno già studiando  delle  versioni  con  capsula  recuperabile  che  in  prospettiva  potrà  accogliere  gli astronauti.

                                                                                                                                        Giovanni   Caprara

   NAVETTA ‘JULES VERNE’ SI AGGANCIA A ISS

ROMA – La prima navetta automatica europea, Jules Verne, adesso fa parte della Stazione Spaziale Internazionale (Iss): è stato un successo l’aggancio della navetta dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) alla stazione orbitale ed è il punto di arrivo di un’avventura durata dieci anni, che ha coinvolto 1.500 tecnici di dieci Paesi, con un costo complessivo di sviluppo di 1,3 miliardi di euro. 

La manovra delicatissima di oggi è stata una prima assoluta nello spazio, perché tutto è avvenuto automaticamente e i tre membri dell’equipaggio della stazione spaziale, al comando di Peggy Whitson, si sono limitati ad osservare il progressivo avvicinamento della navetta, pronti a intervenire esclusivamente in caso di emergenza. “Non c’é mai stata tanta Europea a bordo della stazione spaziale”, ha detto entusiasta il direttore generale dell’Esa, Jean Jacques Dordain. “Dopo il Nodo 2 e il laboratorio Columbus, adesso della stazione orbitale fa parte anche la navetta europea Jules Verne”.

  La manovra di avvicinamento oggi è cominciata quando il Veicolo di trasferimento automatico (Atv) si trovava a 39 chilometri dalla Iss. Poco dopo le 14,00 la navetta era già a 3,5 chilometri dalla stazione orbitale e da allora l’avvicinamento è stato progressivo, interrotto solo da brevi soste di alcuni minuti. A poco a poco Jules Verne ha acceso luci, radar, videometri e telegoniometro. Arrivata a 249 metri ha ridotto la velocità ed è cominciata la fase finale, seguita dal centro di controllo dell’Esa in Francia, a Tolosa, in continuo contatto con i centri di controllo della Nasa a Houston e dell’agenzia spaziale russa Roscosmos a Mosca.


Le immagini, trasmesse dal centro dell’Esa a Frascati (Roma) in collegamento con Tolosa, hanno mostrato il “naso” dell’Atv visto dall’interno del modulo russo della Iss, Zvezda avvicinarsi sempre di più fino al contatto. Una manciata di minuti più tardi è scattato il sistema di aggancio e la navetta è diventata parte della Iss. L’equipaggio della stazione orbitale aprirà il portello domani mattina, ma soltanto per un’operazione di pulizia dell’aria interna alla navetta, allo scopo di eliminare l’eventuale presenza di gas nocivi. Soltanto dopodomani sarà possibile entrare nella parte pressurizzata del modulo e cominciare la lunga operazione di “scarico” dei rifornimenti, tra cibom acqua, abiti, aria e propellente. Jules Verne porta sulla Iss un carico di circa sette tonnellate, ma non è un semplice cargo.

Parte del suo propellente verrà infatti utilizzato più volte nella missione per aiutare la stazione orbitale a rientrare nella sua orbita, contrastando il lento decadimento causato dalla gravità terrestre.             La navetta resterà agganciata alla stazione spaziale fino al prossimo agosto, quando si distaccherà per tornare verso Terra, distruggendosi al rientro nell’atmosfera con il suo carico di 6,4 tonnellate di spazzatura.

L’ATV si è sganciato perfettamente dalla ISS

Ora l’ATV affronta l’ultima parte della sua lunga permanenza nello spazio, che terminerà con un rientro distruttivo e controllato nell’atmosfera terrestre, il giorno 29 settembre

Alla fine della prima missione del ciclo, l’ATV, Automated Transfer Vehicle, gioiello tecnologico dell’ESA, sviluppato dal consorzio EADS, con Alenia Spazio e Astrium Space, si è perfettamente sganciato dalla ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, alle 23.29, tempo dell’Europa Centrale, di venerdì 5 settembre 2008.

Ora l’ATV affronta l’ultima parte della sua lunga permanenza nello spazio, che terminerà con un rientro distruttivo e controllato nell’atmosfera terrestre, il giorno 29 settembre.

Il 4 settembre l’equipaggio a bordo della Stazione Spaziale ha chiuso i portelloni di comunicazione tra la ISS e l’ATV, nel corso della preparazione della procedura di sganciamento automatico. Terminate tutte le fasi della procedura, l’ATV, il veicolo europeo senza equipaggio a bordo, si è staccato dalla Stazione Internazionale, grazie alla spinta propulsiva di alcuni motori che lo hanno lentamente allontanato dalla ISS. Dopo queste prime fasi durate 22 minuti, l’ATV si è ritrovata al di sotto della Stazione ad una distanza di 5 Km .

Per 23 giorni l’ATV rimarrà nella cosiddetta fase di rifasamento, che, oltre garantire un suo sicuro allontanamento dalla ISS, porterà il veicolo inun orbita inferiore (vale a dire più vicina alla terra) a quella della Stazione, e lo arretrerà rispetto alla stessa. Questa lenta manovra consentirà all’ATV di raggiungere il suo punto di rientro nel tempo giusto per andarsi a disintegrare nell’atmosfera in una zona sovrastante una regione completamente disabitata del Pacifico meridionale, essendo inoltre perfettamente osservabile in queste fasi dall’equipaggio della ISS e da due aerei monitor attrezzati di speciali strumenti per registrare il rientro del primo veicolo della serie ATV.

L’ATV si trova in orbita dal 9 marzo 2008, quando ha avuto inizio la missione inaugurale della serie dei veicoli europei, destinati al trasporto di merci verso la ISS e a rientrare con materiale da distruggere nell’atmosfera terrestre dove si disintegrano.

“Il modo perfetto con cui l’ATV ha eseguito le operazioni nelle diverse fasi della sua missione evidenzia come il livello di prestazioni della tecnologia spaziale europea sia stato portato a livelli altissimi” – dichiara Simonetta di Pippo, direttrice delle Missioni con volo umano, presso l’ESA.

“Questo successo conforta anche sulla possibilità futura per l’Europa di dotarsi della possibilità di essere autonoma sul fronte dei veicoli cargo verso lo spazio.

Appuntamento  quindi  per  la  fase  dello  spettacolare  rientro  distruttivo  dell’ATV  il  giorno  29 settembre  2008.

STS-123

La missione “sts123” durera’ 16 giorni di cui 12 dentro l’ISS

La navetta ha trasportato la prima parte di un laboratorio giapponese

La navicella spaziale americana Endeavour è stata lanciata dalla Florida verso la Stazione spaziale internazionale (Iss). A bordo sette astronauti, tra cui un giapponese. Il decollo è avvenuto puntualmente alle 7.28 (ora italiana). Le condizioni meteorologiche sono favorevoli. Lo shuttle, che resterà in orbita 16 giorni, trasporta alcune parti di un laboratorio da installare sulla stazione spaziale internazionale.

La Nasa ha effettuato il lancio alle 02:28 di martedì 11 marzo 2008 ora di Cape Canaveral (le 07:28 di martedi’ in Italia). Con Endeavour, la più giovane delle tre navette di cui ancora dispone la Nasa (ha debuttato nel 1992), i sette astronauti portano nello spazio la prima parte di un grande laboratorio giapponese, Kibo (speranza), che richiederà i viaggi di tre navette per essere completato.

La missione attuale servirà a installare la parte che servirà da deposito di materiali, mentre il nucleo del laboratorio vero e proprio andra’ in orbita a maggio.  Sempre nella stiva è ospitato anche il robot Dextre, costruito dal Canada, un’apparecchiatura alta 4 metri e che dispone di due braccia ‘umane’ lunghe tre metri e mezzo ciascuna.

Dextre verrà assemblato sullo shuttle e poi agganciato a un braccio robotizzato della Iss, da dove potrà eseguire in futuro una serie di operazioni all’esterno che oggi richiedono passeggiate spaziali degli astronauti.           In tutto, è previsto un numero record di cinque passeggiate spaziali per installare tutto il materiale.

Quella di Endeavour è la seconda di sei missioni degli shuttle previste quest’anno dalla Nasa, che sta accelerando i tempi per concludere la Stazione spaziale da 100 miliardi di dollari prima che le navette vadano in pensione nel 2010.

 Domenica 9 marzo è stato lanciato dalla Guyana francese il primo cargo spaziale europeo, il Jules Verne, che resterà vicino all’ISS durante la visita dell’Endeavour, aspettando il suo turno per ormeggiare alla stazione.

(www.corriere.it) Dai videogiochi allo spazio

Sogno realizzato per Richard Garriott , sesto turista spaziale e «figlio d’arte»

MILANO – «Il mio sogno di seguire le orme di mio padre si è realizzato!».   Sono state le prime parole pronunciate dallo spazio da Richard Garriott che per dieci giorni sarà ospite della stazione spaziale internazionale a partire da martedì 14 ottobre. E’ salito in cielo domenica a bordo della navicella Soyuz-TMA13 lanciata con un razzo Semiorka. Richard Garriott è un miliardario americano diventato ricco fabbricando computer games : l’ultimo della serie si chiama Tabula Rasa.

IL PADRE ASTRONAUTA – Ma sin da quando ascoltava i racconti affascinanti del padre aveva coltivato il sogno di ripercorrere la stessa strada, volando in orbita. Il padre Owen, infatti, fece parte di uno dei tre equipaggi che soggiornarono sul laboratorio cosmico Skylab della Nasa lanciato negli anni Settanta, E poi volò pure sulle shuttle. Abbiamo cenato una sera assieme: è un signore gentile, modesto e sempre sorridente. Richard però non entrò alla Nasa, lavorò nel mondo dei computer, ebbe buone idee e accumulò ricchezza. Ma voleva anche lui vedere ruotare la Terra dall’alto e fece di tutto per diventare il primo turista spaziale. Purtroppo le vicende economiche non andarono sempre per il verso giusto e il sogno dovette essere rinviato e il primo fu l’americano Tennis Tito. Ma ora, a 47 anni, è arrivato dove voleva e da lassù parla soddisfatto: è il sesto turista a compiere il grande balzo, ma lui rifiuta questa etichetta.         

BIGLIETTO DA 30 MILIONI DI DOLLARI – La Nasa non gli riconosce il titolo di astronauta: per la Nasa quelli che arrivano pagando il biglietto con le navicelle russe sono solo «spaceflight participant», partecipanti al volo spaziale, una dizione generica che toglie un po’ di lustro all’impresa pagata profumatamente. Anzi Garriott ha pagato più dei suoi cinque predecessori sborsando trenta milioni di dollari, dieci in più rispetto al passato. Anche nello spazio i prezzi lievitano. E visto che la domanda c’è, Space Adventures, la società americana che organizza i viaggi orbitali ne approfitta: in fondo per un miliardario 10 milioni in più che cosa sono? Garriott svolgerà alcune sperimentazioni sulla stazione spaziale: per la Nasa farà da cavia sottoponendosi a dei test per studiare le conseguenze sul corpo umano dell’assenza di gravità che incide sul sistema immunitario ma anche sul sonno. Per l’Esa europea invece compirà delle analisi sull’osteoporosi e sul sistema dell’equilibrio dal quale spesso nasce il mal di spazio. Poi fotograferà la Terra. Ma Garriott, visto che paga un biglietto salato, ne approfitta per fare un po’ gli interessi di famiglia eseguendo dei test della società di biotecnologie ExtremoZyme della quale il padre è co-fondatore. Tolta la tuta da astronauta della Nasa diventò infatti un uomo d’affari.

PRESTO VOLI ECONOMICI – Il club dei turisti spaziali miliardari è ristretto e anzi l’agenzia spaziale russa Roskosmos ha fatto sapere di essere intenzionata a ridurre queste possibilità di volo: ma finora l’unica cosa che ha materializzato è stato un aumento del 50 per cento delle tariffe del biglietto.

Intanto si avvicina il momento dei voli più economici organizzati da Richard Branson della Virgin Galactic che promette di mettere a disposizione per la fine del 2009 lo “SpaceShipTwo” costruito dall’americano Burt Rutan. Con questo veicolo a razzo si arriverà però soltanto alle soglie dello spazio a cento chilometri d‘altezza.   Tuttavia basterà per assaggiare per poco più di cinque minuti l’ebrezza dell’assenza di peso. Costerà 200 mila dollari e già 250 persone hanno versato un anticipo per non perdere l’occasione. Non gireranno completamente intorno alla Terra ma almeno vedranno il cielo nero, e proveranno fisicamente l’emozione degli astronauti veri.

Giovanni Caprara     

STS-125

La STS-125 è una missione spaziale del Programma Space Shuttle. Questa missione dovrebbe essere la quinta (e ultima) missione di servizio verso iltelescopio spaziale Hubble. Inizialmente la missione doveva essere svolta con lo Shuttle Discovery ma la NASA recentemente ha deciso di utilizzare l’Atlantis per la missione. Questa sarà la 31° e ultima missione per l’Atlantis e il lancio, inizialmente previsto per il 28 agosto, è stato spostato al gennaio 2009.

Questa missione sarà l’ultima a prevedere un volo “solitario” di uno Shuttle, e nelle successive sarà sempre presente un aggancio alla Stazione Spaziale Internazionale. È il primo volo solitario dell’Atlantis dalla missione STS-66 del 1994.

La STS-125 è una missione spaziale del Programma Space Shuttle. Questa missione dovrebbe essere la quinta (e ultima) missione di servizio verso il telescopio spaziale Hubble. Inizialmente la missione doveva essere svolta con lo Shuttle Discovery ma la NASA recentemente ha deciso di utilizzare l’Atlantis per la missione. Questa sarà la 31° e ultima missione per l’Atlantis e il lancio, inizialmente previsto per il 28 agosto, è stato spostato al 10ottobre 2008

Questa missione sarà l’ultima a prevedere un volo “solitario” di uno Shuttle, e nelle successive sarà sempre presente un aggancio alla Stazione Spaziale Internazionale. È il primo volo solitario dell’Atlantis dalla missione STS-66 del 1994.

STS-400

STS-400 è la sigla assegnata agli Equipaggi di Supporto (Contingency Shuttle Crew Support) pronti al lancio in caso di guasti alla missione STS-125.      Questa missione sarà diversa rispetto alle altre missioni di riserva, e prevede la presenza di un secondo Shuttle pronto al lancio sulla rampa 39-B quando verrà lanciata la missione. Infatti, a causa dell’orbita e dell’inclinazione del telescopio spaziale Hubble, l’equipaggio dell’Atlantis non potrà usare la stazione spaziale come rifugio in attesa del lancio della missione di riserva per il recupero. Dovendo essere pronti gli Shuttle su entrambe le piattaforme del Complesso di lancio 39, dovranno essere rimandate di sei mesi le modifiche previste per il futuro vettore Ares I della navetta Orion.

 (http:/inforadio//inforadio/quotidianonet.ilsole24ore.com/inforadio/)

STS 126

Riparano e ampliano la Iss

Quella dell’equipaggio è stata una missione “estremamente complessa e ardua”: riparare il pannelli solari della Stazione Spaziale Internazionale e ampliare la zona che ospita gli astronauti.         L’obiettivo per il futuro è di ospitare sei persone alla volta.

Cape Canaveral, 15 novembre 2008 – Lo shuttle Endeavour è partito per una missione che dovrà portare all’ampliamento dell’Iss, la stazione spaziale orbitante.      La navetta, che ha un equipaggio di 7 persone, ha cominciato il suo viaggio durante la notte dal centro spaziale Kennedy a Cape Canaveral, in Florida.

Tutto, secondo Michael Griffin, capo dell’agenzia spaziale statunitense, è andato per il meglio. Quella dell’equipaggio dell’Endeavour sarà una missione “estremamente complessa e ardua”: riparare il pannelli solari dell’Iss a quasi dieci anni dall’inizio dei lavori per la sua realizzazione e l’ampliamento della zona che ospita gli astronauti.            L’obiettivo per il futuro è di mandare equipaggi più consistenti – da tre a sei uomini – e per questo verranno aggiunti due nuove zone notte, attrezzi per l’esercizio fisico, una seconda toilet, due nuovi forni per scaldare il cibo, un frigo per gli alimenti e le bevande, un congelatore e un forno per gli esperimenti. L’Endeavour porta con sè 14,5 tonnellate di materiale ed equipaggiamenti al modulo italiano Leonardo.

“Di fatto la Iss diventerà una casa con cinque stanze da letto, due bagni e una cucina in grado di ospitare sei persone alla volta” hanno detto alla Nasa. Gli astronauti installeranno anche un sistema che trasforma l’urina in acqua potabile.

                                                          

I “Diritti Umani” sono in orbita

 

Con la missione STS126 dello Shuttle partita il 15 novembre, una copia della “Dichiarazione universale dei diritti umani” è arriveta a bordo della Stazione Spaziale Internazionale ISS. E’ un evento di alto significato simbolico, pensato per celebrare i sesant’anni trascorsi da quanto i diritti umani furono universalmente stabiliti, il 10 dicembre 1948, dall’assemblea delle Nazioni Unite.

Nel testo approvato in quel tempo di grandi speranze seguito alla tragedia della seconda guerra mondiale, spicca l’affermazione secondo cui “tutti gli uomini nascono liberi e uguali nella loro dignità e nei loro diritti”, ciò che dovrebbe portare a un altrettanto universale “spirito di fratellanza”.

Purtroppo basta guardarsi intorno per constatare che in molte parti del mondo, dall’Africa al Medio ed Estremo Oriente, le affermazioni della Dichiarazione dell’ONU sono del tutto ignorate e disattese. Ma proprio per questo l’iniziativa sostenuta dall’Esa e dalla Nasa acquista più importanza.

Sigillata in uno speciale imballaggio progettato per la trasferta spaziale, la copia della Dichiarazione verrà trasferita e conservata a bordo del Laboratorio europeo “Columbus”. I paesi che aderiscono alla massima organizzazione internazionale sono ad oggi 192.

Rimaniamo in tema con un’altra notizia che arriva dal “palazzo di vetro” di New York. L’Unesco (organismo culturale dell’ONU) e la International Astronomical Union (IAU) hanno firmato il 30 ottobre un Memorandum di Intesa che garantirà la protezione dei siti storicamente più significativi per la cultura del cielo in senso lato: le piramidi d’Egitto, la città maya di Chichen Itza in Messico, il monumento megalitico di Stonehenge in Inghilterra (nella foto) e così via.

Il Memorandum rientra nel quadro delle iniziative che le Nazioni Unite, tramite l’Unesco, stanno prendendo in vista del 2009, proclamato Anno Internazionale dell’Astronomia su proposta partita dall’Italia, e in particolare da Franco Pacini dell’Università di Firenze.

La tutela del patrimonio archeologico e storico legato alla cultura del cielo è uno degli assi portanti dell’Anno Internazionale dell’Astronomia. Tra gli animatori dell’iniziativa si distingue Clive Ruggles, professore emerito di archeoastronomia all’Università di Leicester, Regno Unito.

I criteri di protezione dovranno essere ulteriormente precisati per poter inserire altri siti che ne faranno richiesta nella lista della “Astronomy and Worl Heritage Initiative”.

La International Astronomical Union (che riunisce più di diecimila astronomi di tutto il mondo) si propone di tutelare non solo siti archeologici ma anche, con pari priorità, siti e strumenti moderni che abbiano segnato tappe importanti nel progresso delle conoscenze astronomiche. “Un obiettivo – ha detto Clive Ruggles – tanto più importante in quest’epoca di globalizzazione che tende a fare della conoscenza un patrimonio davvero a disposizione di tutto il pianeta”.

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L’astronave cupola: una finestra sul cosmo

Tecnologia made in Italy ispirata a michelangelo

La struttura permetterà di controllare il funzionamento del Braccio robotico remoto della stazione

MILANO — È tutta tecnologia made in Italy la nuova finestra sull’universo che permetterà agli astronauti della Stazione spaziale internazionaleISS una visibilità a 360 gradi sullo spazio esterno, per controllare il funzionamento del Braccio robotico remoto della stazione, ma anche di godere di una vista mozzafiato sul cosmo.

A costruire la Cupola spaziale sono stati gli ingegneri di Thales Alenia Space, la joint-venture italo-francese tra il gruppo Thales e Finmeccanica, «copiando » l’intuizione di Michelangelo quando all’inizio del Cinquecento scolpì il David. Come l’artista rinascimentale partì da un unico blocco di marmo per ricavare uno dei capolavori della scultura mondiale, così la Cupola è stata ottenuta da un blocco pieno di lega di alluminio, poi scavato con le macchine per dargli la forma e lo spessore voluti. «Era la soluzione migliore per ottenere la massima superficie possibile di vetri e poi mantenerli insieme in modo estremamente rigido, per poter resistere alle straordinarie condizioni cosmiche. Ma, allo stesso tempo, per avere una struttura leggera, perché nello spazio il peso costa», spiega al telefono l’ingegnere Luigi Maria Quaglini, direttore dello stabilimento di Thales Alenia Space a Torino.

E questa versione hi-tech di abilità antiche, che ieri si è guadagnata la prima pagina del Wall Street Journal, ha permesso al consorzio guidato da Thales Alenia Space di vincere la gara indetta dall’Agenzia spaziale europea nel 2000 e battere il consorzio di aziende tedesche, che invece proponeva di realizzare la struttura della Cupola assemblando strisce di metallo. Una soluzione, quella tedesca, giudicata poco affidabile per resistere alle tremende sollecitazioni spaziali (caldo torrido, freddo siderale, polveri, meteoriti e altri detriti) a cui sarà sottoposto l’osservatorio.

La Cupola, «grande come una nuova Fiat Cinquecento», pesa 1680 chili ed è composta da sette grandi vetrate (sei laterali e una superiore). Rappresenterà anche «un legame psicologico fra la stazione e la Terra », afferma Dino Brondolo, responsabile dei programmi di Thales Alenia Space. La Nasa la manderà in orbita tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 per attaccarla al Nodo 3, un modulo della Stazione spaziale sempre realizzato da Thales Alenia Space. Come lo è il Nodo 2. Come lo sono Leonardo, Raffaello e Donatello, i tre e moduli logistici utilizzati per il trasporto con lo Shuttle (è successo appena due settimane fa con Leonardo, rimasto per due settimane attaccato al Nodo2 per rifornire la Stazione spaziale). O, ancora, come lo è il laboratorio Columbus, lanciato quest’anno e ora agganciato in modo permanente alla Stazione. «Qui a Torino abbiamo costruito oltre il 50% dagli spazi pressurizzati, cioè vivibili dagli astronauti della Stazione spaziale internazionale. Più di quanto hanno fatto Usa e Russia. Un vanto per la tecnologia italiana. Gli americani vedono gli italiani come artisti. Noi volevamo dimostrare che, oltre a essere artisti, siamo anche ingegneri e sappiamo fare cose belle, ma anche efficienti», dice Dino Brondolo. Nel complesso, per quel che riguarda la Stazione spaziale internazionale, i progetti di Thales Alenia Space ammontano a «circa 2 miliardi complessivi», di cui la Cupola rappresenta 25 milioni.

STS-131
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STS-135
STS-133
STS-135

Celebrazione del 30° Anniversario della missione STS-1 dello Shuttle

Martedì 12 aprile 2011 ha segnato una pietra miliare del volo spaziale della esplorazione umana  degli Stati Uniti e così  il Programma Space Shuttle Program (SSP) ha celebrato il “30 ° anniversario della missione STS-1“. 

Con inizio alle 09:00 CDT presso l’Auditorium Teague in una mattinata speciale sono stati commemorati i successi degli ultimi 30 anni. Il programma della manifestazione è stato: 

– Poche parole da parte di alcuni del gruppo di vertice, passato e present, della NASA , tra cui alcuni ex dirigenti

  SSP 
– Una visione di un video speciale dei voli spaziali, con una prospettiva storica del nostro Program Manager

  dello Space Shuttle 
– Un messaggio speciale dell’ amministratore della NASA Charlie Bolden 
– Un messaggio speciale da parte del STS-133 che l’equipaggio del Discovery ha registrato mentre era  in orbita 
– Un messaggio speciale da parte dell’equipaggio della  Spedizione 27 della Stazione Spaziale Internazionale 
– Un’occasione per vedere il film IMAX Hubble 3D in alta definizione con introduzione dell’ astronauta Mike

  Massimino (STS-125) 
– Riunione successiva nella hall, per ricordare e condividere le storie degli ultimi 30 anni 

I partecipanti hanno indossato la   vecchia camicia preferita STS  e di commemorare l’anniversario, perché è stato anche un giorno  per “Indossare la Camicia della Missione Preferita”.

                                                                                                                                  Photo: NASA/inforadio/Bill Ingalls 
L’evento è stato trasmesso in diretta sul canale NASA OMNI.

Dopo la celebrazione, ogni partecipante ha ricevuto un Certificato di Apprezzamento dello Space Shuttle dal Program Office ed ha firmato il proprio certificato dai nostri ospiti speciali.

Starport ha servito limonata e torta dell’anniversario, ed il negozio di oggetti spaziali Starport  ha avuto a disposizione merce commemorativa per l’anniversario.      

Missile russo precipita dopo il lancio

24 agosto 2011

Doveva portare i rifornimenti agli astronauti sulla Iss. Lo stesso razzo porta in orbita le Soyuz

Giorni difficili per i viaggi nello spazio. Dopo l’uscita di scena per sopraggiunti limiti di età degli shuttle americani, il razzo russo Soyuz che trasportava sul cargo Progress M12-M 3,5 tonnellate di materiale (ossigeno, cibo e carburante) per i sei astronauti che attualmente sono a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss), è precipitato nelle foreste della Siberia circa cinque minuti e mezzo dopo il decollo avvenuto alle 15 (ora italiana) di mercoledì 24 agosto dalla base di Baikonur, in Kazakistan.

Mosca ha quindi sospeso ogni ulteriore lancio: «È stata presa la decisione di sospendere il lancio delle navette Soyuz finché le cause dell’incidente non saranno chiarite», ha dichiarato un responsabile del programma spaziale russo all’agenzia Interfax. È il primo problema del genere in un cargo russo dal 1978 e i precedenti 43 lanci si erano svolti senza intoppi.

INCIDENTE – Il missile era partito in perfetto orario dalla rampa di lancio e tutto sembrava funzionare alla perfezione. Ma subito dopo l’accensione del terzo stadio, il computer di bordo ha ordinato lo spegnimento dei motori a causa di un problema, come ha spiegato Mike Suffredini, manager del programma Iss della Nasa. I contatti si sono persi e il missile è precipitato 325 secondi dopo il lancio in una remota foresta della Siberia provocando un’esplosione così forte che ha fatto vibrare i vetri delle finestre in un raggio di 100 chilometri, ha testimoniato all’agenzia Ria Novosti Alexander Borisov, dirigente del distretto Choysky della repubblica dell’Altai, al confine con Mongolia e Cina. Il governatore della provincia Yuri Antaradonov, ha detto che i detriti sono caduti in tre aree e ha messo in guardia la popolazione dall’avvicinarsi in quanto potrebbero essere contaminati da carburanti ad alta tossicità.

ISS – Il problema ora si ripercuote sul programma della Stazione spaziale internazionale, in quanto dopo il pensionamento degli shuttle, i cargo russi Progress e le navicelle Soyuz sono gli unici mezzi per portare materiale e astronauti sulla Iss fino a quando gli americani saranno pronti con una nuovo sistema di rifornimento. Sulla Iss, è stato assicurato, c’è una scorta di cibo, ossigeno e carburante sufficiente per due mesi, ma è a rischio il lancio della prossima missione con tre astronauti che avrebbero dovuto dare il cambio a tre colleghi, il cui ritorno sulla Terra era previsto il 22 settembre, oltre a un’altra missione cargo il 28 ottobre e una missione con astronauti in dicembre. Il blocco al lancio è dovuto al fatto che il terzo stadio della Soyuz è simile a quello che ha provocato l’incidente del missile caduto mercoledì in Siberia. La Nasa, invece, preme in quanto vorrebbe mantenere sei astronauti sulla Iss in modo da non avere ritardi sul programma di ricerche. Ora a bordo della Iss ci sono tre russi, due americani e un giapponese.

INCIDENTI – Negli ultimi mesi il programma spaziale russo ha subìto alcuni colpi. Lo scorso dicembre tre satelliti del programma Glonass (la versione russa del Gps) sono precipitati al largo delle Hawaii, in febbraio un satellite militare per le comunicazioni riservate con l’Estremo oriente russo e le trasmissioni digitali tv ha raggiunto un’orbita errata. Infine il 18 agosto uno stadio del razzo Proton ha spedito in un’orbita sbagliata un altro satellite per comunicazioni. Il prossimo lancio di un satellite Glonass è stato immediatamente sospeso.  

 (www.lastampa.it)

L’Europa: Mini-shuttle nel 2012

Ricordate Hermès? Era il progetto di navetta spaziale europea avviato negli Anni 80 (disegno). Ci lavorò, tra gli altri,  L’astronauta italiano Maurizio Cheli. Quella navetta avrebbe dovuto volare in orbita con il razzo “Ariane 5” e dare l’autonomia agli astronauti europei. Invece tutto finì in una rinuncia. 

Troppo difficile, troppo caro, troppo rischioso.

Bene, quel sogno risorge dalle ceneri come l’araba fenice. A L’Aia i ministri della ricerca di 18 paesi europei hanno appena approvato il progetto di un mini-shuttle che dovrebbe sfociare nel primo lancio intorno al 2012. Un impegno imponente: 10 miliardi di euro in tre anni. E infatti non c’è stato posto per altro. Questo del mini-shuttle è l’unico nuovo impegno spaziale che sia stato deciso dall’Unione Europea, gli altri stanziamenti riguardano solo il proseguimento di programmi già in corso.

Il lancio dovrebbe avvenire con il nuovo razzo europeo Vega, tuttora in fase di sviluppo. Si incomincia con uno stanziamento immediato di 78 milioni di euro; capoprogetto per l’Agenzia spaziale europea (Esa) è l’italiano Giorgio Tumino, la sigla della navetta: IXV, da Intermediate eXperimental Vehicle.

L’aspetto è più quello di una capsula schiacciata che di un velivolo. E infatti IXV scenderà appeso a un paracadute, come da sempre fanno gli astronauti russi nelle loro Soyuz. Il mini-shuttle sarà lungo 4,40 metri, 5 metri con gli ugelli del motore e misurerà 2,24 metri di larghezza per 1,54 di altezza.

Si farà tesoro dell’esperienza degli ultimi vent’anni: non solo quella dello Shuttle ma anche dell’X-38 della Nasa, poi abbandonato, della capsula Ard e del modulo “Jules Verne”. Lo scudo termico sarà in piastrelle di carburo di silicio con fibre di carbonio, una evoluzione rispetto alle problematiche piastrelle della navetta americana, ma sono in fase studio anche altri materiali.

Il lancio prevede che IXV sia installato sulla cima del razzo Vega e parta da una apposita rampa della base spaziale di Kourou, nelle Guyane francese. Il test del 2012 consisterà in una mezza orbita intorno alla Terra alla quota di 450 chilometri seguita dalla discesa nell’oceano Pacifico alla velocità di 7,5 chilometri al secondo. L’impegno economico dell’Italia sarà di 1,2 miliardi sull’intero progetto. Lo ha annunciato Enrico Saggese, commissario straordinario all’Agenzia spaziale italiana dopo la destituzione di Giovanni Bignami avvenuta nel luglio scorso.

Intanto i nostri astronauti torneranno presto sulla (ISS)Stazione Spaziale Internazionale: prima Roberto Vittori per una missione breve, poi Paolo Nespoli e di nuovo Vittori per due missioni di sei mesi. Finora mai astronauti italiani hanno affrontato missioni così lunghe.

 Piero Bianucci

L’aereo che avrà il compito di lanciare la navetta spaziale  “VSS Enterprise” realizzata   dalla  Virgin Galactic  che spedirà nello spazio turisti  paganti  al  costo  di 200.000 dollari  a  biglietto

 

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera

STS-3xx

STS-3xx è la sigla con la quale si contrassegnano le missioni dello Space Shuttle chiamate: Lancio in caso di neccessità(Launch On Need LOC).     Si tratta di missioni di recupero per l’equipaggio di uno Space Shuttle se la navetta venisse danneggiata e incapace di effettuare un sicuro ritorno sulla Terra.          Una tale missione verrebbe autorizzata se il controllo missione determinasse il danneggiamento dello scudo termico e dei pannelli rinforzati carbonio-carbonio (RCC) di un orbiter in volo al di là delle normali capacità di riparazione. 

Queste missioni sono anche chiamate: Lancio su richiesta (Launch On Demand LOC).

Nel caso di recupero, verrebbero utilizzati l’orbiter e quattro persone dell’equipaggio destinate alla missione successiva. La pianificazione e l’addestramento del volo di recupero permettono alla NASA di lanciare la navetta entro un periodo di 40 giorni dall’avvio della missione.           Durante questo periodo di tempo è previsto che l’equipaggio  dello  Shuttle  danneggiato  trovi  rifugio  sulla    Stazione   Spaziale   Internazionale  (ISS).           La ISS è infatti in grado di sostenere un ulteriore equipaggio, oltre a quello già presente, per un periodo di circa 80 giorni.                      La limitazione di questo intervallo di tempo è dovuto alla quantità di ossigeno disponibile.   Le operazioni di mantenimento dell’equipaggio dello Shuttle sulla stazione spaziale sono chiamate all’interno della NASA come Contingency Shuttle Crew Support (CSCS).       È previsto che, nel caso di annullamento di missione prima che lo Shuttle abbia raggiunto l’orbita della ISS,la stazione venga spostata per raggiungere ed incontrare la navetta spaziale.          La procedura viene chiamata joint underspeed recovery.

Missioni STS-3xx

Volo

Volo di recupero

STS-114 (Discovery)

STS-300 (Atlantis)

STS-121 (Discovery)

STS-300 (Atlantis)

STS-115 (Atlantis)

STS-301 (Discovery)

STS-116 (Discovery)

STS-317 (Atlantis)

STS-117 (Atlantis)

STS-318 (Endeavour)

STS-118 (Endeavour)

STS-322 (Discovery)

STS-120 (Discovery)

STS-320 (Atlantis)

STS-122 (Atlantis)

STS-323 (Endeavour)

STS-123 (Endeavour)

STS-324 (Discovery)

STS-124 (Discovery)

STS-326 (Endeavour)

STS-125 (Atlantis)

STS-400 (Endeavour)

Precedentemente alla missione STS-121 le procedure prevedevano che lo Shuttle danneggiato venisse abbandonato e distrutto facendolo rientrare nell’atmosfera. Le missioni Shuttle successive avevano in dotazione un cavo di 8,5 metri progettato per collegare i controlli manuali del ponte di volo in modo da permettere al controllo di missione di far atterrare lo Shuttle danneggiato senza equipaggio a bordo. Una tale eventualità potrebbe essere presa in considerazione nel caso il veicolo fosse troppo danneggiato per rischiare un atterraggio con persone a bordo, ma con delle possibilità di poter atterrare intatto. Il sito di atterraggio per un tale volo automatico potrebbe essere la base Edwards Air Force Base in California dove un grande letto di un lago prosciugato permetterebbe un maggiore margine di errore. Un altro possibile sito di atterraggio potrebbe essere anche il White Sands Missile Range nel New Mexico.    In base alle regole di  volo  presenti, la traiettoria  di  rientro  dello  shuttle  danneggiato  sarebbe  tale  che,  in  caso  di  incidente  i  detriti  precipitino dell’Oceano Pacifico  del  sud.                                             Una missione di recupero, nel caso venisse attuata, sarebbe molto probabilmente l’ultimo volo di uno Shuttle e rappresenterebbe la fine del programma spaziale basato su tali navette.

lancio di prova riuscito !

Dopo due giorni di rinvii per il maltempo, mercoledì 28 ottobre 2009 è regolarmente partito da Cape Canaveral (Florida)  ARES 1-X, il razzo destinato a sostituire lo Shuttle .

Agenzia Spaziale Russa (RKA)

La Agenzia Spaziale Russa (Russo:Федеральноекосмическоеагентство)formalmente l’Agenzia Russa per l’aviazione e lo spazio’ (RKA; in Russo: Российскоеавиационнокосмическоеагентствоèl’agenzia governativa responsabile per programma spaziale Russo e delle ricerche aerospaziali.

Storia 

La RKA si è formata nell’Unione Sovietica dopo la dissoluzione del programma spaziale sovietico. L’RKA utilizza la tecnologia e i siti di lancio sviluppati dal precedente programma spaziale russo. La RKA ha il controllo sul programma spaziale civile russo incluse tutte le missioni con e senza equipaggio.

L’Agenzia Spaziale Russa adesso e il programma spaziale sovietico prima sono sempre stati afflitti da una cronica mancanza di fondi che hanno reso molto complicato il programma lunare e la cooperazione per la Stazione Spaziale Internazionale. Tuttavia nel 2005 i preventivi per i futuri fondi statali sono molto favorevoli. l governo russo ha approvato uno stanziamento per il programma spaziale di 425 miliardi di rubli (12 miliardi di euro) tra il 2006 e il 2015. Il budget per il 2006 è di 27 miliardi di rubli (800 milioni di euro).[1]

Programma attuale

L’Agenzia Spaziale Russa è una dei collaboratori NASA nel programma della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).RKA ha fornito un vettore di trasporto ai turisti spaziali che hanno voluto raggiungere la ISS.

RKA opera in molti programmi di ricerca scientifica terrestre e di telecomunicazioni. I progetti futuri includono un successore del velivolo spaziale Sojuz chiamato Kliper (costruito in collaborazione con l’ESA), delle missioni robotizzate sulle lune di Marte e un aumento dei satelliti di ricerca orbitanti sulla Terra.

Amministrazione

Il quartiere generale dell’Agenzia Russa per l’aviazione e lo spazio si trova al Cosmodromo di Baikonur in Kazakhstan.

L’agenzia è gestita da Anatoly Perminov che ha compiti simili all’amministratore della NASA. Gli impiegati della RKA sono circa 300, la maggior parte dei lavori risono subappaltati. Il primo subappaltatore della RKA è la Energiya Rocket and Space Complex, che possiede e gestisce il Controllo missione di Korolev e gestisce parte del programma della Stazione Spaziale Internazionale. Energiya primka gestiva le operazioni della stazione spaziale Mir. La compagnia ha sviluppato il lanciatore pesante Energiya che è stato utilizzato per trasportare in orbita lo shuttle Buran.

Controllo lancio 

La controparte militare della RKA è la Forza Militare Spaziale (VKS). La VKS controlla il Cosmodromo di Plesetsk. La RKAe la VKS gestiscono congiuntamente il Cosmodromo di Baikonur dove la RKA rimborsa lo stipendio di buona parte del personale alla VKS durante i lanci civili. Entrambi le organizzazioni controllano congiuntamente il Centro Addestramento Cosmonauti Yuri Gagarin.

 

Sputnik 1

Lo Sputnik1  (in russoСпутник, satellitefu il primo satellite artificiale in orbita nella storia. Venne lanciato il 4 ottobre 1957  dal  Cosmodromo di Baikonur, nell’odierno  Kazakistan, grazie al vettore R-7 (Semyorka). In russo la parola Sputnik significa  “compagno  di viaggio,  inteso  come  satellitein astronomia.         Fu progettato dall’Unione Sovieticaanche  grazie  ai  missili  tedeschi V2  reperiti nella  Seconda Guerra Mondiale. Il programma Sputnikebbe inizio nel 1948quando  si  intuì  la  possibilità  di modificare  missili militari in vettori per il lancio di satelliti. L’annuncio del  successo  del  lancio,  venne dato  da  Radio  Mosca  la  notte   tra  il  4 e il 5 ottobre 1957.                  Con  il  lancio delloSputnik1, l’Unione Sovietica prese in contropiede gli Stati Uniti,  che  solo  il  31 gennaio 1958  mandarono  in  orbita  il  loro  primo  satellite: l’Explorer 1.  

Gli strumenti a bordo dello Sputnik1 rimasero funzionanti per 21 giorniAveva lineamenti ben più semplici di un satellite  artificiale  odierno,  era  infatti   formato  solo  da  una  sfera  pressurizzata  di  alluminio di 58 cm. di raggio e da 4 antenne  lunghe  circa  2,5 metri.            Bruciò  durante  il rientro  nell’atmosfera  il  3 gennaio1958.

Caratteristiche

  a 50 anni dal lancio restano aperti i dubbi sulla morte della cagnetta usata come cavia dai russi

La misteriosa “fine spaziale” di Laika

Partì il 3 novembre 1957 a bordo dello Sputnik, destinato a bruciare nell’atmosfera come una meteora

Quando il missile si sollevò dal cosmodromo di Baikonur, sotto la spinta e il fragore dei suoi motori, la cagnetta rinchiusa nella capsula cominciò a guaire penosamente e ad agitarsi nel tentativo di fuggire. Ma la stretta imbracatura che le avvolgeva corpo e zampe le impedì qualunque movimento, se non quello della testa. Poi, nei lunghi minuti in cui i propulsori del missile furono forzati al massimo per vincere la forza di gravità terrestre, l’animale si sentì schiacciato come in una morsa e la frequenza del suo cuore arrivò al limite dell’infarto, passando dagli abituali 100 a 250 battiti ogni minuto. Il terrore non abbandonò la cagnetta nemmeno quando si ritrovò, ormai priva di peso, in orbita attorno alla Terra, fra 200 e 1600 km d’altezza. Solo dopo tre ore di quella straniante condizione la bestia si calmò, ignara della sorte che l’aspettava.

IL VIAGGIO SENZA RITORNO – Cominciò così, il 3 novembre 1957, il viaggio senza ritorno della cagnetta russa Laika, il primo essere vivente ad avere varcato i confini della Terra. Ancora oggi, nel cinquantenario di quell’evento, resta insoluto il mistero su come sia veramente morta Laika: gli esperti continuano a fornire differenti versioni di quel sacrificio programmato, alcune rassicuranti, altre decisamente strazianti. Come pure resta aperto il contenzioso se si trattò di un indispensabile esperimento per aprire all’uomo la via dello spazio, oppure di un’inutile ed esibizionistica crudeltà. Appena un mese prima, il 4 ottobre 1957, l’ex Unione Sovietica aveva sbalordito il mondo collocando in orbita lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale, dimostrando un’insospettata supremazia rispetto agli Stati Uniti nella corsa allo spazio.

I RETROSCENA POLITICI – Stando ai documenti resi pubblici dopo il crollo dell’Urss, il lancio di Laika fu un affrettato fuori programma. Galvanizzato dal successo, il presidente Nikita Kruscev chiese al capo dei programmi spaziali Sergei Korolev di anticipare a qualunque costo il volo orbitale di una cagnetta, previsto per i mesi successivi, in modo da farlo coincidere con il 40.mo anniversario della rivoluzione d’ottobre (7 novembre 1917). «Le procedure consuete dell’ingegneria spaziale furono accantonate – racconta Boris Chertok, il braccio destro di Korolev -. Non ci fu tempo nemmeno di stendere il progetto. La capsula fu costruita in officina sulla base di disegni improvvisati». Lo Sputnik 2 era una capsula a forma di cono, 4 metri di altezza per 2 metri di base, del peso di 500 kg, che sarebbe stata collocata in cima a uno dei missili balistici intercontinentali più potenti dell’epoca, l’R-7. L’abitacolo era dotato di atmosfera artificiale pressurizzata, impianto termoregolatore, e apparati di trasmissione dei parametri vitali della cagnetta. In un certo senso confortevole, ma assolutamente privo di un sistema di recupero: una volta compiuta la sua missione orbitale, era destinato a bruciare nell’atmosfera come una meteora.

LA SCELTA DI LAIKA –Anche il reclutamento della cagnetta fu estemporaneo: accalappiata mentre vagava senza padrone in una via di Mosca, fu selezionata per la sua docilità fra tanti altri compagni di sventura. Laika era una femmina bastarda di circa 3 anni, risultato di incrocio fra un husky siberiano e un terrier. Sopportò con grande pazienza i test attitudinali: le costrizioni della tuta spaziale, gli elettrodi incollati nel petto, la centrifuga per simulare l’accelerazione di gravità durante il lancio. E si guadagnò con onore quel posto nella capsula spaziale dove, secondo fonti della Nasa, fu sigillata per ben tre giorni in attesa del lancio, con le deiezioni che si raccoglievano copiose in un sacchetto. Dopo il terrore del lancio e la ritrovata calma in orbita, Laika fu sentita dai controllori di volo consolarsi mangiando la sua pappa gelatinosa. Ma fu una breve parentesi.

I DUBBI SULLA MORTE DI LAIKA  Qualcosa andò storto nell’impianto di termoregolazione. Invece di mantenersi a 16 gradi, la temperatura schizzò a 41 e la cagnetta riprese a guaire e ad agitarsi. I battiti del suo cuore, poi ritrasmessi da alcune emittenti radiofoniche, diventarono sempre più flebili. Secondo la versione ufficiale dei fatti, trascorse circa 5 ore dall’ingresso in orbita, i controllori di volo applicarono la prevista soluzione della “dolce morte”, rendendo disponibile alla cagnetta un’apposita pozione velenosa già pronta in cabina. Ma nell’ottobre del 2002, nel corso di un convegno spaziale a Houston, Texas, Dimitri Malascenkov, uno degli scienziati che partecipò all’impresa, rivelò che la versione dell’eutanasia era una pietosa bugia e che in realtà la cagnetta era morta 5-6 ore dopo il lancio per stress termico. Secondo altre fonti russe (Anatoly Zak, The True Story of Laika the Dog), l’agonia della cagnetta si sarebbe prolungata per ben quattro giorni. Lo Sputnik 2 divenne la bara spaziale di Laika, fino a quando la sua orbita decadde e tutto finì, il 14 aprile 1958, con un’infuocata disintegrazione nell’atmosfera.

MONDO DIVISO – Cinquant’anni fa il mondo si divise fra coloro che esaltarono l’impresa, incuranti delle sofferenze di Laika, sostenendo che quella era l’unica via per verificare la capacità di un essere evoluto a sopportare le forti sollecitazioni del lancio, seguite dalla repentina e prolungata assenza di gravità; e coloro i quali affermavano che tutte le verifiche potevano essere fatte tranquillamente nei simulatori spaziali a Terra, sia sugli animali sia direttamente sull’uomo. Così, mentre gli animalisti protestavano davanti alle ambasciate sovietiche di tutto il mondo, gli scienziati russi, e poi anche gli americani, continuavano i loro esperimenti spaziali con cavie animali: non solo cani, ma anche scimpanzé, topolini, rane, alcuni dei quali recuperati, altri finiti tragicamente come Laika. Solo di recente, Oleg Gazenko, uno dei superstiti ricercatori che partecipò al tirocinio di Laika, ha fatto una pubblica ammissione di pentimento: «Più tempo passa e più mi rammarico per la nostra scelta. Non era proprio necessaria. Da quella missione non abbiamo imparato tanto da giustificare la tragica fine di quel cane».

                                                                                                                                                                    Franco Foresta Martin

La cagnolina Laika fu lanciata nello spazio a morire di terrore  3 novembre del 1957 a bordo dello Sputnik, ricordiamo come andarono realmente i fatti e il sacrificio inconsapevole di un essere che avrebbe certo preferito vivere una normale vita da quattrozampe, piuttosto che essere ricordato nei secoli a venire per essere stato il primo cane a morire nello spazio. Laika per noi è una ferita sempre aperta. Lei e tutti gli animali-cavia come lei,  che anche qui non hanno potuto dire “no, non voglio, non usarmi, ho paura, lasciami nella mia vita”.Un bellissimo articolo su Laika lo scrisse Vittorio Zucconi nel 2002.Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, nell’ambito del programma spaziale sovietico, l’Urss ha usato diversi cani per i voli spaziali suborbitali ed orbitali. Non dimentichiamo neppure loro.L’animale fu spedito in orbita sullo Sputnik nel ’57 i russi dissero che aveva resistito 7 giorni: non era vero.Laika non visse nello spazio la cagnetta morì dopo il lancio.WASHINGTON – Il cane che rincorse le stelle avrebbe di molto preferito continuare a rincorrere gatti e ciclisti per le strade di Mosca, se avesse potuto decidere lei, ma Laika non era un cane qualsiasi. Era un soldato, una bandiera, un latrato di battaglia, un monumento che l’Urss voleva costruire a se stessa con il materiale della Guerra fredda, con i motori, i missili, le ambizioni e, soprattutto, con le bugie della propaganda. Laika, la bastardina arruolata dagli accalappiacani di Kruscev nei vicoli di Mosca per essere la prima creatura vivente spedita in orbita, non morì la morte indolore nello spazio dopo una settimana di orbite, che la propaganda ci aveva raccontato allora, ma una morte orrenda e struggente, inscatolata nel minuscolo Sputnik, poche ore dopo il lancio. Il suo cuore di cane fu schiantato dal panico e dalla solitudine incomprensibile.Un’altra delle perenni menzogne del potere in Russia, sovietico e non soltanto sovietico, viene a galla dopo 45 anni, dalla confessione di uno degli scienziati di quel programma spaziale che, tra il primo bip dello Sputnik e il viaggio di Gagarin attorno alla Terra, doveva essere la dimostrazione dei trionfi Socialisti sul nemico Capitalista. La prova della profezia di Nikita Kruscev all’Occidente, “in dieci anni vi seppelliremo”.Laika, insieme con Mushka e Albina, due altri cagnetti presi a caso tra i bastardini nelle vie della capitale, era stata scelta per la sua docilità, per la sua resistenza alle prove d’accelerazione nella centrifuga della “Città delle Stelle”, la Houston alle porte di Mosca e, dannazione dei piccoli, per le sue dimensioni contenute. Non c’era molto spazio per ospitare un cane dentro lo Sputnik 2 dal peso totale di 108 chili, che i vettori sovietici erano in grado di sparare in orbita in quel novembre del 1957. Ma per piccina e mansueta che fosse, Laika era pur sempre un cane e ci volle tempo per adattarla a quel viaggio.Con le sue compagne fu messa nel frullatore della centrifuga che le spingeva il cuore fino a tre volte il ritmo normale delle pulsazioni cardiache, nella paura e nella fatica di pompare il sangue nel corpo schiacciato dall’accelerazione gravitazionale. Aveva, dice ora lo scienziato russo, una tendenza a soffrire di panico, perché il cuore impiegava poi il triplo di tempo rispetto alle sue compagne, prima di tornare a velocità normale.Laika e le sue compagne furono costrette a vivere in gabbiette e contenitori sempre più piccoli e strette da catenelle sempre più strette, per periodi successivi di 3 settimane e a nutrirsi solo di gelatine, la pappa che sarebbe stato messo a bordo, perché lo potessero, poco alla volta, con parsimonia, leccare fino all’esaurimento e dunque alla morte.Alla fine dell’addestramento, se così possiamo chiamare quella tortura, la vediamo nelle foto d’epoca, che spunta con il muso scuro e gli occhi giustamente preoccupati, da una sorta di tubo di dentrificio nero, l’ogiva nella quale sarebbe stata sparata dalla base di Baikonur, strettamente incatenata, per impedirle di rivoltarsi e di muoversi dentro il tubo.Mushka, oltre che piccola, era, per sua ulteriore sfortuna, anche la più intelligente. Era servita per collaudare i rudimentali strumenti di bordo, un ventilatore automatico che avrebbe dovuto raffreddare l’abitacolo quando, nei momenti di esposizione al sole durante le orbite la temperatura fosse salita oltre i 20 gradi.Albina era stata sparata due volte con razzi, ma recuperata con paracadute dell’ogiva, per collaudare la resistenza al lancio. Ma Laika pescò la paglia corta. Fu scelta per il glorioso evento. E fu lanciata. Senza sapere che per lei non era stato previsto nessun rientro trionfale. Che sarebbe comunque morta girando attorno alla Terra. Il dottor Dimitri Malashenkov, lo specialista che la seguì, ha raccontato ieri a un congresso di medicina spaziale a Houston, le ultime ore di Laika. L’elettrocardiografia seguita via radio segnò un aumento parossistico delle pulsazioni quando i motori s’accesero e il missile cominciò a vibrare sollevandosi dalla piazzola, qualcosa che la cagnetta non aveva mai provato prima. Raggiunta la velocità orbitale, il ventilatore, secondo i leggendari standard del controllo di qualità sovietica, naturalmente non funzionò e la temperatura nella trappola spaziale cominciò a oscillare tra il caldo e il freddo estremi.Il suo cuore di cane prese a battere irregolarmente, fibrillando quando l’assenza di peso rallentò di colpo le pulsazioni e alla quarta orbita, dopo 5 ore di tormento, il tracciato divenne misericordiosamente piatto. Forse fu la temperatura a ucciderla, o l’umidità che si era accumulata nel suo ansimare dentro quello spazio, o l’anidride carbonica che i filtri nella capsula avrebbero dovuto ripulire, ma che, probabilmente, non funzionarono a dovere. Il dottore non è sicuro.Ma chiunque conosca un cane e abbia visto gli occhi di Laika mentre la insaccano dentro la sua gabbia, sa di che cosa è morta quella cagnetta, è morta di paura e di solitudine. Di stress, se si preferisce un’espressione più asettica. Sognando i vicoli di Mosca, il branco dei randagi e i gatti che non avrebbe più rincorso, la mano di quegli uomini ai quali si era sicuramente affezionata, senza sapere quello che loro stavano preparando per lei. Il funerale di Laika fu lungo. Andò avanti per 6 mesi e 2.570 orbite, mentre il Cremlino mentiva sulla sopravvivenza di Laika nello spazio indicata in “oltre quattro giorni” e l’America si rodeva nella sua goffa rincorsa con missili che esplodevano dopo il lancio e scimpanzé africani che stava addestrando per inseguire i cani russi.Fu cremata l’8 aprile del 1958, quando lo Spuntik-2 perse velocità e rientrò nell’atmosfera, consumandosi in un ultimo, piccolo falò delle vanità ideologiche e della crudeltà umana. Tre anni dopo, il 12 aprile del ’61, un essere umano dal coraggio ultraterreno, Yuri Gagarin la seguì, sapendo che avrebbe potuto fare la fine della cagnetta che l’aveva preceduto e che era stata sacrificata per lui, da un regime che trattava gli uomini come cani e dunque i cani come gli uomini. Troppo tardi per fare compagnia a Laika e portarla a passeggio tra le stelle.

(Fonte YouAnimal)

   (www.corriere.it)

Grande come un pompelmo, ancora oggi gira intorno alla Terra Ha 55 anni il più vecchio satellite in orbita

Il 17 marzo 1958  partiva  il  Vanguard 1.  Grazie  a  lui  si  riuscì  a  stabilire  la  forma  a  pera  del  nostro  pianeta

 
 

Il più vecchio satellite ancora in orbita intorno alla Terra ha compiuto 55 anni.        Il 17 marzo 1958, infatti, veniva lanciato il Vanguard 1, il secondo satellite Usa e il quarto della storia spaziale dopo i due sovietici Sputnik 1 e 2. Ma di questi, il Vanguard 1 è l’unico a girare ancora intorno al pianeta.

PICCOLO  Il Vanguard 1 pesa poco meno di un chilo e mezzo, antenne escluse ha un diametro di 15,2 cm: come un pallone da calcio sgonfio. Tanto che l’allora premier sovietico  Nikita Kruscev  disse  che  si trattava di «un satellite-pompelmo» nei confronti dei ben più grandi Sputnik. Però il Vanguard 1 aveva un vantaggio rispetto ai  suoi  predecessori: l’energia  era  fornita  dai  pannelli  solari, che  diventeranno  fondamentali  per  tutte  le successive  missioni  spaziali.

VITA LUNGA  Il satellite smise di trasmettere dati alla Nasa nel maggio 1964, ma è stato utilissimo anche dopo.   Ancora oggi viene infatti utilizzato dagli astronomi per misurare con esattezza gli effetti di Sole, Luna e atmosfera terrestre sulla sua orbita e, grazie alla sua precisione, è stato impiegato per sperimentare un sistema di sorveglianza per satelliti spia. Inoltre è servito per confermare che la Terra non ha forma sferica, ma sembra una pera un po’ schiacciata ai poli. Il Vanguard 1 avrà vita lunga: i tecnici avevano predetto una durata di duemila anni in orbita, ma dopo studi accurati hanno abbassato il periodo a circa 240 anni. Il satellite ha già effettuato 197 mila orbite intorno alla Terra, e ogni due ore, dodici minuti e 48 secondi ne aggiunge un’altra.

                                                                Paolo      Virtuani              

TORRE BERT

 L’INCREDIBILE AVVENTURA DEI FRATELLI JUDICA CORDIGLIA:   ASCOLTAVANO I COSMONAUTI RUSSI DAL CENTRO DI TORINO E CAPTARONO L’AGONIA DEGLI SCONOSCIUTI PRECURSORI DI YURI GAGARIN: “ALMENO 14 SI SONO PERSI NELLO SPAZIO. MA MOSCA NON LO AMMETTEVA”…

Giovanni  Battista  e  Achille Judica Cordiglia dal  loro  punto  di ascolto,  prima  nel  centro  di TORINO, in via Accademia Albertina,  poi  in  un  bunker  tedesco  affittato  per  due  lire  in  collina,  infine  nell’ala di una casa di cura del Canavese,  acchiapparono  i  segreti,  divulgarono  i  successi  e  le  tragedie,  registrarono  i  suoni  e  le voci  di missioni spaziali  russe  e  americane  in  cui avevano messo il naso, non perchè fossero spioni di mestiere,  ma perchè erano entrati in  un  gioco  più  grande  di  loro,  e lo  giocavano  benissimo.

IL BIP BIP
«Da bambini –  raccontano  i  fratelli Judica  –  avevamo  la  passione  per  la  radio, il più bel giocattolo del mondo, e la curiosità  di   andare   sempre  oltre  nell’ascolto  ci  spinse  ad  allestire  in  casa  una  piccola  stazione, fatta di materiale recuperato dai depositi  di  guerra  e di antenne che progettavamo noi. La nostra Bibbia era una rivista  che  si chiamava“l’Arrangiatore”. Quello  fu  l’inizio  del  gioco.                    Poi nel 1957 i russi mandarono in orbita il primo Sputnik e ne captammo il bip bip. Per  noi  iniziò  la  caccia  ai  segnali  dallo  spazio,  una  fantastica  malattia».

«LE VITTIME SONO 14»…
Il  libro  e  il  documentario  riapriranno  le  polemiche  sulle  morti mai ammesse. Secondo i due fratelli, in quel periodo almeno  14  cosmonauti  sovietici  si  sono  persi  nello  spazio.

TORINO  era  un  luogo  privilegiato,  il  primo  punto  dove le astronavi sovietiche riprendevano contatto con le basi in Russia, dopo il black out imposto dal sorvolo degli Usa e dell’oceano. Così riversavano tutti i dati. Cogliemmo la voce di Gagarin e annunciammo  la  presenza  del  primo uomo nello spazio qualche minuto prima che lo ufficializzasse la Tass. Prima di lui, però,  ci  sono  stati  tentativi  di  cui non  si  è  saputo niente. Nel novembre 1960, sei mesi prima di Gagarin, sentimmo l’SOS nitido  di  un  veicolo  che si allontanava dalla Terra, senza possibilità di tornarci.          Nel maggio 1961  registrammo  la morte in diretta  di  un  equipaggio:  due  uomini  e  una  donna».

Il  messaggio  della  donna  è  un pugno nello stomaco. I due colleghi probabilmente sono già morti, la cosmonauta cerca aiuto alla base:la manovra di rientro è fuori controllo. La voce ripete ossessivamente dei numeri e «ho caldo, ho caldo, ho caldo».            « Questo il mondo non lo saprà »,  è  la  sua  frase  che  dà  il  nome  al  libro.

NIENTE POLITICA…

« Un’altra volta  –  aggiungono  i  fratelli Judica  – captammo  il  battito  cardiaco  e  il  respiro  affannoso  di  un  essere  cui evidentemente  mancava  l’aria.  Facemmo  ascoltare  il  nastro  al  professor  Dogliotti.         Lo  analizzò  e  non ebbe dubbi.             I  sovietici  però  non  ammettevano le tragedie, ci accusavano di inventarci persino i nomi degli astronauti, dimenticando  che  li  prendevamo  dalle  loro  riviste  e  che con noi, all’ascolto, c’erano sempre giornalisti e tv di  tutto il mondo.   Emilio Fede della RAI,  ci  conosceva  bene.         Non  ci  spingeva  l’ideologia,  non  eravamo  anticomunisti,  nè  al  soldo  degli  americani.  C’indispettiva  che  si  negasse  la  realtà !           E  gli  astronauti  che  ascoltavamo, erano  volontari  consapevoli  del  rischio  di  morire ».

Nel  villino  a CIRIE’  i  vecchi  strumenti parlano di  un’epoca  lontana,  centinaia  di  nastri  conservano  le  voci  e  i  ricordi.   Oggi  i  fratelli   hanno   smesso  di  ascoltare  il  cielo.
«La fine la decretammo nel 1975 con la missione congiunta tra l’Apollo e la Soyuz, russi  e  americani  che  si  danno  la mano  in  orbita».                Di Torre Bert,  è  rimasta  la  gigantesca  antenna  in  giardino.           fonte: “La Stampa”

Gagarin NON fu il primo uomo nello spazio, spuntano delle prove

(www.lastampa.it)

Il cosmonauta sovietico Jurij Gagarin potrebbe non essere stato il primo uomo a compiere un volo nello spazio, ma forse solo il primo a tornare vivo a Terra da una missione Urss. Il suo primato, potrebbe essere una versione ufficiale «di comodo» che nasconde una verità molto diversa. Così, proprio mentre si celebrano i cinquant’anni dal lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik 1, «Focus Storia» rivela, nel numero domani in edicola, una inquietante verità che getta nuova luce sulla storia dell’esplorazione umana dello spazio.

Ad avanzare il sospetto che l’ex-Urss abbia tenuto nascoste alcune tragiche missioni spaziali ben prima dell’impresa di Gagarin dell’aprile 1961, sono i fratelli Achille e Giambattista Judica Cordiglia, che in quegli anni misero in piedi a Torino una stazione di radio-ascolto spaziale e captarono tutte le trasmissioni radio provenienti dallo spazio, comprese quelle legate alle missioni «non ufficiali», divenendo di fatto, in quegli anni, unica fonte di informazione per i media italiani.

«La prima missione è del 28 novembre 1960», afferma al bimestrale Gruner+Jahr/inforadio/Mondadori, diretto da Sandro Boeri, Giambattista Judica Cordiglia. Il messaggio captato in codice Morse, era un appello agghiacciante: «SOS a tutto il mondo» ripetuto in modo ossessivo. «Il segnale proveniva da un punto fisso del cielo e diventava sempre più debole.       Alla fine ci convincemmo che una navicella spaziale si stava perdendo nello spazio con il suo occupante».

Ma non è tutto. «Un secondo volo – prosegue Judica Cordiglia – lo rilevammo il 2 febbraio del 1961: nella registrazione si coglie distintamente il rantolo di un cosmonauta morente e il suo battito cardiaco. Due giorni dopo dall’Urss giunse l’annuncio del lancio dello Sputnik 7, un veicolo da 6,5 tonnellate: praticamente le stesse caratteristiche di una navicella Vostok, come quella che userà Gagarin».

«Insieme al lancio, -dice ancora- Mosca ne comunicò anche la disintegrazione al rientro sulla terra. Nessun cenno al destino del cosmonauta che avevamo captato, ma Achille Mario Dogliotti, uno dei maggiori cardiochirurghi italiani, studiò le nostre registrazioni e confermò che si trattava di un battito cardiaco umano».

In quegli anni il regime sovietico manteneva uno stretto riserbo sulle proprie missioni spaziali, ma neppure successivamente, in tempi di glasnost, è emerso un solo documento a conferma delle ipotesi dei fratelli Judica Cordiglia, le cui teorie all’epoca ottennero un certo credito anche da parte della Bbc, anche se negli anni successivi sono state messe in discussione dagli storici dell’astronautica.

Ma ad avvalorare le tesi dei due appassionati, su Focus Storia interviene Mario Del Rosario, che nel proprio archivio conserva un’intercettazione che coincide con quella degli Judica del febbraio 1961. «Anch’io ho registrato in modo chiaro quel lamento angoscioso, e come loro mi sono rivolto a un medico perchè lo ascoltasse: mi confermò che si trattava di un uomo in agonia».

Lo scetticismo in alcuni tuttavia rimane. «In alcuni casi potrebbe trattarsi di trasmissioni terra-terra» ipotizza l’esperto di intercettazioni radio Sven Grahn. «Non bisogna dimenticare – dice – che le postazioni antimissile che proteggevano la stazione spaziale di Bajkonur utilizzavano le stesse frequenze dei cosmonauti. Oppure potrebbe trattarsi di trasmissioni da aerei in volo».

L’incontro con i dirigenti della NASA

Nel 1964,  i  due  fratelli  JUDICA-CORDIGLIA vinsero  un  viaggio negli STATI UNITI  partecipando  al  quiz  televisivo  “LA FIERA DEI SOGNI”, condotto da Mike Bongiorno, e si recarono a Washington per essere ricevuti alla NASA,  portando  con  sé  il proprio registratore a nastro  e  tutto il  materiale  raccolto  in  anni di  intercettazioni.L’incontro con i dirigenti della NASA

 Non  era  la  prima  volta,  tuttavia,  che  i  due fratelli entravano in contatto con la NASA: nel 1961 gli americani misero  in  orbita  attorno  alla  terra  una nube  di 350 milioni  di  aghi  di  rame per creare una sorta di specchio ingrado di riflettere  onde  radio  di  particolari  lunghezze  d’onda  non  altrimenti  ricevibili  se  non  localmente.  I  centri  di  controllo,  pur  avendo la  conferma  che  essa  fosse  entrata  regolarmente  in orbita,  non  riuscivano  ad individuarne  la  posizione.           Qualche  giorno  seguente,  nel  centro  di  ascolto  di  Torino, venne captata  una  stazione  radio  americana  che senza  la presenza degli aghi non  sarebbe  stato  possibile ricevere:  orientata   l’antenna,  la nube  fu  identificata  e,  dopo  che  la  notizia  fu  diffusa  dalla  stampa, arrivò  una  telefonata  ai  due  fratelli, direttamente  dall’America:  era  il  oddard  Spac e  Flight  Center,  che  chiedeva  le  coordinate  della sua nube, ed una volta ottenute,  le  confermò.

Nel 1964,  tuttavia,  il  contatto  fu  molto  più  diretto.      Furono accolti da un funzionario molto scettico, che si rivelò essere uno dei quattro potenti dellaNASA dell’epoca. Acceso il registratore, iniziò la serie dei segnali.  Lo Sputnik 1, il battito cardiaco di Laika, la voce di Gagarin, mentre il funzionario tempestava i due di domande per testarne l’attendibilità.  La  voce di Glenn  fece l’effetto sperato: l’americano chiese di sentire la registrazione più volte  ed  emise  un  lapidario:  NO POSSIBLE, poi  spiegando l’impossibilità della cosa, dato il mantenimento più assoluto del riserbo sulle frequenze utilizzate per quell’esperimento.

La spiegazione lasciò esterrefatto il funzionario che, dopo qualche minuto di riflessione, chiamò, uno dopo l’altro, tutti i suoi colleghi, ed entro breve, quella  che si presentò davanti ai due fu un vero e proprio consiglio dei più alti funzionari  del  Dipartimento  di  Stato.    Le  domande  divennero  sempre più insistenti, e i funzionari sempre più increduli. Chiesero loro se erano finanziati dal governo italiano, se erano stati  contattati  dai  sovietici,  finchè  il discorso non finì sulla localizzazione delle basi sovietiche e delle frequenze  segrete  da  loro  utilizzate:  cominciò così un vero e proprio scambio reciproco di informazioni, in cui ognuno rivelava alcune  delle  frequenze  e  delle basi scoperte in cambio di altre.        Altro  elemento  curioso  ed  ingegnoso  del  lavoro  dei  due  fu  appunto  la localizzazione  delle  basi  sovietiche:  per  conoscere  l’ubicazione  precisa  della  fonte  della  trasmissione  era necessario  disporre  di  più di una base d’ascolto. Così, i due fratelli, costruirono una “stazione mobile”, ovvero una vecchia Fiat 1100 familiare su cui furono montati due apparati riceventi e un sistema di antenne smontabili e facilmente  trasportabili.            

Dopo  la  particolare  conversazione  con  i  funzionari  della  NASA,  durante  il  loro  viaggio,  i  due  fratelli visitarono numerose basi americane, tra cui Huston, Huntsville, e Cape Kennedy, dove poterono conoscere gli astronauti e porre le proprio domande ai tecnici.

Intanto, col passare degli anni, l’avanzare della tecnologia costrinse i due fratelli ad aggiornare la proprio base di ascolto. Oltre alla necessità di maggior spazio, che causò i trasferimenti prima dalla cantina alla camera da letto, poi da essa  ad  un bunker tedesco situato in collina, a Torre Bert, e infine da lì a San Maurizio Canavese, furono necessari  nuove  appareccchiature  e,  soprattutto,  nuove antenne.     

Altrettanto, se  non  maggiormente sorprendente, fu la loro genialità nella ricezione della voce di Glenn, il primo americano  in  orbita,  il  26  gennaio  1962.Di notevole portata fu l’autoprogettazione e  l’autoproduzione del  primo radio-telescopio italiano, che permise ai due di partecipare al XI Salone Internazione della Tecnica.

Anno 1962
Capsula "Mercury"
Anno 1998

 La NASA non comunicò le frequenze su cui si sarebbe potuta udire la voce dell’astronauta: l’informazione rimase strettamente  riservata.  I  due  fratelli  dovettero  dunque  ricorrere  alla propria  inventiva: tra l’enorme mole di materiale  fotografico  da  loro  accumulato, trovarono  una fotografia dell’ultimo test compiuto con la capsula di Glenn in cui due sommozzatori, su un’imbarcazione, intenti a recuperare la capsula su un gommone. Nella foto si poteva  scorgere  l’antenna.

Con  l’aiuto  del padre, medico legale, calcolarono le dimensioni dell’antenna, facendo riferimento, per le misure, ai  volti  dei  due  sommozzatori,  e  calcolarono  la  distorsione  data dall’angolazione della foto. Ottenute così le lunghezze  dell’antenna, con adeguati calcoli, ricavarono facilmente la frequenza e poterono captare e registrare la  voce  dell’americano.

Dopo  quel  giorno,  furono  numerose  le  intercettazioni  effettuate dai due torinesi: le immagini lunari del Lunik IV, le  voci  di Nikolajev  e  Popovic,  degli astronauti  americani  del  progetto Mercury , di Valery Bykovsky, di Valentina Tereshkowa (la prima donna lanciata ufficialmente nello spazio), di Leonov (primo ad uscire dalla nave spaziale) e Balyaev, degli americani del progetto Gemini, e la morte di Komarov.

L’ultimo  episodio  della  lunga  avventura  dei  due,  fu lo  sbarco  dell’uomo  sulla  Luna.  In  quell’occasione  si occuparono  anche  della  telecronaca  diretta  dell’avvenimento  per Radio Svizzera, e il loro centro d’ascolto fu letteralmente  invaso  da  centinaia  di  persone.

Iniziò,  da  quel  giorno  in  poi,  il  declino  delle  iniziative pionieristiche verso lo spazio, e, con esse, dell’attività di  intercettazione  degli Judica Cordiglia.                                                   

 ( info da HTTP:/inforadio//inforadio/ SERENA86PF.SPACE.LIVE.COM

Giovanni Battista Judica Cordiglia

E’ nato a Erba (Como) nel 1939 e  fin dai primi anni ‘50 si è occupato di telecomunicazioni, di registrazioni audio e di fotografia  tecnico-scientifica;  appassionato  di  cinema  e  tecnica  di  videoripresa  è autore di saggi, collaboratore  scientifico e attivo documentarista.

Ha  ricevuto  un  riconoscimento  dalla  Regione  Piemonte  in  occasione  del  25° anniversario dello sbarco  umano  sulla  Luna  per  la  sua  attività  nel  radioascolto  spaziale  svolto   a  Torino.

Ha curato  la  sceneggiatura e la regia di documentari tecnico-scientifici, come Amazzonia, fiume del silenzio (Università di Napoli),  presentato  nel  1992  a  Rio  de  Janeiro  in  occasione  dell’apertura  della  Conferenza  mondiale  sull’ambiente organizzata  dalle  Nazioni Unite,  Golgotha  ora  nona  e   Sindone  analisi  di un crimine, ricerca/inforadio/inchiesta sulla Sindone di Torino.

Di  significativa  importanza  Top secret radio, un video avente per soggetto l’esplorazione spaziale durante la guerra fredda,  un  documento  unico  e   ricco  anche   di   inedite  testimonianze  sonore,  presentato  al  Congresso mondiale di astronautica  tenutosi  a  Torino  nel  1997  su  espresso  invito  della  Associazione Italiana di Aeronautica e Astronautica (A.I.D.A.A.).

Per  incarico  dell’Arcivescovo  di  Torino,  Michele  Pellegrino,  ha  redatto  una  perizia fotografica sulla Sindone di Torino, scattando numerose riprese per la prima volta in scala, a colori, all’ultravioletto e infrarosso. Si occupò anche della  genesi  dell’impronta  sindonica,  ancora  oggi  avvolta  nel  mistero,  avanzando  e  sperimentando  una  nuova rivoluzionaria teoria, secondo la quale l’origine dell’ immagine sarebbe da ricercarsi in un violento quanto istantaneo fenomeno elettrico o luminoso che avrebbe strinato la tela in superficie. La sua relazione, presentata al Congresso di Sindonologia tenutosi a Trani  nel 1984, suscitò interesse a livello mondiale, aprendo la via a nuove ricerche sulla genesi dell’impronta. 
Judica Cordiglia, iscritto nel Ruolo di periti ed esperti presso la Camera di Commercio di Torino e nella sua attività di Perito fonico e fotografico presso il Tribunale di Torino, da oltre due decenni, applica alle registrazioni da  intercettazioni ambientali, telefoniche e videofotografiche, l’esperienza e la specializzazione maturata  in decenni di ricerche  nel settore delle telecomunicazioni, registrazioni magnetiche,e fotografiche. In un attrezzato laboratorio  dispone  di software forensi specificatamente dedicati ai filtraggi, restyling di  nastri magnetici, ed altri che consentono l’ identificazione di voci provenienti da intercettazioni telefoniche e ambientali. Per  incarichi di particolare impegno si avvale della collaborazione di  
Laboratori statunitensi  operanti  per conto dell’ F.B.I.,  C.I.A. e  Ministero del Tesoro.
Nell’ambito di  una di queste consulenze, particolamente significativa,  dopo approfondite ricerche condotte sulla registrazione di una intercettazione, averne accertato la manipolazione,  identificati voci, suoni e rumori,  a conclusione delle proprie indagini, verificate anche negli Stati Uniti, ha realizzato un video che illustra il fatto  con assoluto rigore scientifico, in simmetria con i documenti processuali connessi all’intercettazione. Per la prima volta una tale originale 
documentazione è stata presentata e visionata nell’aula di un Tribunale, documentando il fatto con rigore scientifico e assoluta aderenza alla realtà.
E’ autore di una enciclopedia dell’esplorazione spaziale, L’Uomo e lo Spazio (F.lli Fabbri Editori-Milano), Voci dallo spazio, (Edizioni LICE-Padova), Voci dal Cosmo (Ed.. Fonit Cetra-Torino), Premio della Critica discografica 1962, OK Luna ( Compagnia Italiana del Suono – Folklore-Torino) e in tempi recentissimi  il volume“Dossier sputnik..questo il mondo non lo saprà…” (Edizioni Vitalità, Minerva Medica – Torino ), in cui è narrata la storia delle sue radiointercettazioni.

Achille Judica-Cordiglia

Vive a CIRIE’ (TO) con Maria Elisa ed ha tre figli : Federica, Giovanna, Andrea.
E’ socio del Lions Club International, eletto nel 1999-2000 governatore del distretto 108 Piemonte-Valle d’Aosta; Cardiologo, ha svolto la sua attività presso il poliambulatorio “Centro diagnostico Cernaia” di TORINO.

 

Nel  corso  degli  ultimi  decenni,  il  problema  della  ricerca  di  intelligenze  extraterrestri  attraverso  la radioastronomia (SETI)  si  è  orientato  su  posizioni  sostanzialmente  passive,  tese  alla  semplice  ricezione di eventuali  segnali  extraterrestri  intelligenti,  successivamente  all’ultima  trasmissione  effettuata  attraverso  il radiotelescopio di Arecibo nel 1974. A questo punto l’esperienza di Alexandr Zaitsev, che ha ripreso a trasmettere messaggi   terrestri,  lascia  ben  sperare  in  un orientamento più consono della ricerca SETI. Tanto più che si ha l’impressione  che  quest’ultima  sia  malamente  tollerata dalla comunità  scientifica  internazionale  e vista come destinata  comunque  ad  esaurirsi  di  fronte  all’inquinamento elettromagnetico. A maggior ragione occorre fare chiarezza a livello scientifico sul come guardare comunque alla possibilità di riscontri effettivi di presenze aliene e all’impatto  che  la  diffusione  di  una  simile  notizia  avrà  indiscutibilmente  sulla  nostra  realtà.

I sovietici primi su Marte – Ora la Nasa ha le prove

La missione Usa scopre i resti dalla sonda Urss del ’71: ma il mistero rimane

La Nasa ha trovato su Marte i resti della sonda sovietica che nel 1971 fece il primo, storico, atterraggio sul Pianeta Rosso e le immagini scattate potrebbero ora aiutare a svelare il mistero di cosa le avvenne.  

Nel 1971 il mondo era in piena Guerra Fredda, la corsa allo spazio era parte integrante della sfida fra superpotenze e Mosca mise a segno un colpo a sorpresa su Washington facendo atterrare per prima una sonda su Marte. Poiché gli Stati Uniti erano riusciti a portare il primo uomo sulla Luna con Apollo 11 nel 1969, il blitz sovietico sul Pianeta Rosso puntava a riproporre il mito dello Sputnik – la prima sonda entrata in orbita, nel 1957 – ribadendo la capacità dell’Urss di restare all’avanguardia nel cosmo.  

In realtà Mosca era riuscita a far arrivare su Marte ben due sonde, il 2 dicembre 1971, ognuna delle quali aveva anche un piccolo modulo per l’atterraggio, ma Mars 2 e Mars 3 quando arrivarono a destinazione vennero oscurate da una tempesta di detriti che avvolgeva il Pianeta. La discesa verso il luogo dell’atterraggio durò 4 ore e 35 minuti, ma ebbe esiti assai diversi perché Mars 2 precipitò mentre Mars 3 riuscì nello storico risultato di atterrare. Nei 14,5 secondi seguenti trasmise segnali al centro di controllo sovietico scatenando reazioni di gioia al Cremlino ma poi si fermò, all’improvviso, per ragioni che non sono mai state del tutto chiarite.

I tecnici russi all’epoca attribuirono la brusca fine delle comunicazioni alla medesima tempesta di detriti che aveva abbattuto Mars 2, eppure la prova certa non vi fu mai e, trattandosi del Pianeta Rosso, nulla poteva essere escluso, neanche un intervento degli extraterrestri. Tanto più che Mosca si rifiutò anche di dare una lettura ufficiale del risultato della trasmissione dati, che sembrava essere una quasi-immagine di un terreno e un orizzonte notturno.  

Da allora il mistero ha celato quanto avvenuto sul luogo dell’atterraggio – latitudine 45 gradi Sud, longitudine 202 gradi Est – nel cratere Ptolemaeus fino allo scorso 31 dicembre, quando il Mars Reconnaissance Orbiter, che segue dall’alto i movimenti dei due rover della Nasa su Marte, ha fotografato dei resti meccanici che successive analisi hanno portato a identificare come parti della sonda sovietica. Nella foto si vedono con chiarezza il paracadute, il retrorazzo, il veicolo di atterraggio e lo schermo di alimentazione del calore del Mars 3 disseminati sul terreno. La qualità dell’immagine della Nasa è tale che servirebbero 2.500 schermi di computer tradizionali per vederla a risoluzione totale, ma consente di impossessarsi di alcuni preziosi dettagli.  

Si scopre così che il paracadute ha un diametro di 7,5 metri rispetto agli 11 totali, il retrorazzo che consentì a Mars 3 di atterrare mostra un prolungamento lineare che assomiglia alla catena che li teneva attaccati, il modulo di atterraggio ha le dimensioni originali con tutti e quattro i petali meccanici aperti, mentre lo schermo per l’alimentazione del calore è l’unico oggetto a essere in parte sotterrato dai detriti.  

Il risultato della scoperta è che adesso la Nasa sta condividendo tali informazioni – assieme a ulteriore materiale raccolto negli ultimi mesi – con Arnold Selivanov, uno dei creatori di Mars 3, e Vladimir Molodtsov, ex ingegnere spaziale russo, per compararli con i dati conservati negli archivi dell’agenzia spaziale di Mosca e per riuscire in qualche maniera a dare una spiegazione alla domanda su cosa avvenne di preciso alle 13:52:25 del 2 dicembre 1971. Quando Mars 3 cessò di comunicare, deludendo le attese di riscatto di Mosca dopo lo smacco subito da Apollo 11. 

la navicella Dragon V2, primo taxi spaziale per gli astronauti Usa

“Gorgeous”, ossia meravigliosa, stupenda, fantastica, ma forse ancora di più: spettacolare. È stato il commento più diffuso alla conferenza stampa, riservata a pochi invitati al quartiere generale di SpaceX, Los Angeles, California.A fine maggio 2014  Lì letteralmente è stato alzato il sipario sul Dragon V2, il primo taxi spaziale per portare astronauti americani verso la Stazione spaziale internazionale e riportarli a terra a fine turno.

In una bella, ma tutto sommato contenuta, scenografia il ceo e fondatore di SpaceX , Elon Musk, quello di Paypal e delle auto Tesla, ha presentato la prima capsula spaziale privata abitabile della storia, e l’America tira un sospiro di sollievo, quello che è stato presentato non è un modello a scala 1:1, ma un mezzo praticamente funzionante e già in parte collaudato, ad esempio per la parte di atterraggio. Dragon V-2 libera l’aquila Usa dalla servitù della vecchia, risale al 1967, ma sicura Vostok russa, attualmente l’unico mezzo in grado di assolvere questo compito, peraltro a 70 milioni di dollari a corsa. Dal 2017 la Dragon V-2 farà il suo dovere fino alla Stazione Spaziale e ritorno, su base regolare, ed è un passo significativo dato che le imprese spaziali internazionali in questo momento sono in cattive acque per lo scontro Russia-Occidente sulla questione Ucraina. Minacce di sospendere la collaborazione dopo il 2020 da parte russa e ci sono stati scontri veri e propri via twitter fra Dmitry Rogozin, vice primo ministro della Russia e Musk in persona. Rogozin in tono sprezzante, aveva inviato un tweet dicendo che gli astronauti Usa presto avrebbero dovuto servirsi di un trampolino per andare sulla Iss. La risposta di Musk, anticipata anch’essa via twitter, è arrivata ieri sera.

A seguire la conferenza stampa l’entusiasmo era palpabile e sembrava uscire dallo schermo del pc, a partire da Musk che ha annunciato alla piccola folla festante «Dragon V2 è il primo veicolo spaziale veramente del 21° secolo». E lo dice a ragione, una forma tutto sommato un po’ buffa, da palla schiacciata verso l’alto, 6.2 metri di altezza, può portare fino a 7 astronauti, ma alla Nasa ne bastano 4, e 490 chili di carico. Più che un taxi sembra quindi un van per famiglie numerose con vettovaglie bauli e carrozzine nel bagagliaio.

All’interno niente a che vedere con la Vostok anni ’60, dove gli astronauti, tutt’ora, devono restare rannicchiati e la strumentazione assomiglia un po’ a quella dei film su Marte di quel decennio.

Qui sedili comodi, cinture di sicurezza di tipo automobilistico, schermi al plasma, molta elettronica e, dulcis in fundo, motori di rotta e atterraggio, retrorazzi, prodotti con una stampante 3D per la gioia incontenibile degli innovatori presenti all’evento. Può atterrare dovunque, terra o mare, con la precisione di un elicottero, le prove sono state fatte. Un bel colpo per SpaceX quindi che già porta alla Stazione Spaziale materiale e cibo dal 2012, grazie alla prima versione della capsula Dragon e al potente Falcon 9, razzo vettore che porterà anche la Dragon V-2 e ci guadagna 1.6 miliardi di dollari da Nasa.

 Non è l’unica però a darsi da fare, anche altre due aziende private, la notissima Boeing e la Sierra Nevada, stanno sviluppando la loro navetta per il 2017 in un accordo quadro da 1 miliardo di dollari con Nasa. In Europa di aprire il mercato, purtroppo, non se ne parla.

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Come si dirà in spagnolo «Centro di ascolto spaziale»? Lo stanno imparando in questi giorni i due giovani fratelli torinesi Giorgio e Luca Judica Cordiglia, che hanno rispettivamente 22 e 18 anni e in uno studio di produzioni televisive di Madrid stanno interpretando per una fiction Giovanni e Achille Judica Cordiglia. Cioè loro nonno e loro prozio. Vale a dire i due radioamatori torinesi che negli Anni Sessanta divennero famosi per aver intercettato e registrato le voci di alcuni cosmonauti sovietici provenienti dallo spazio.      Una storia nella storia. Nata quasi per caso su iniziativa della Caña Productions di Madrid e di Movistar, colosso telefonico spagnolo che è anche proprietario del canale televisivo Cero. A raccontarla è il papà di Giorgio e Luca, Massimiliano Judica Cordiglia, regista di video commerciali ed esperto di comunicazione d’impresa: «Nei mesi scorsi gli operatori di Caña Productions sono venuti a Torino per intervistare mio padre sull’incredibile vicenda del loro radioascolto spaziale e hanno buttato lì l’idea di realizzare anche una fiction. Quando gli ho presentato i miei figli hanno subito detto: “Bene, gli attori ci sono già”».     Così mercoledì scorso Max, la moglie Carlotta e i due ragazzi si sono imbarcati su un aereo per la capitale spagnola e in questi giorni sono partite le riprese della docu-fiction di un’ora che andrà in onda, presumibilmente a marzo, all’interno del programma «Otros mundos» (Altri mondi), condotto dal divulgatore scientifico Javier Sierra, una specie di Piero Angela iberico. Per ora la trasmissione sarà disponibile in Spagna, ma nei prossimi mesi verrà diffusa anche in molti altri Paesi dell’America Latina.           «Mercoledì ci sono state le prove e la scelta dei costumi – spiega Massimiliano – e ieri hanno cominciato a girare le prime scene». In particolare i primi ascolti che i fratelli Judica Cordiglia realizzarono con attrezzature di fortuna nella camera da letto della loro abitazione di via Accademia Albertina; e la strana visita di un sedicente giornalista dell’agenzia sovietica Tass che in realtà risultò essere un agente del Kgb in cerca di informazioni riservate. «Da quel momento – racconta ancora Max, mio padre e mio zio vennero tenuti d’occhio dal controspionaggio italiano ed ebbero un servizio di protezione della polizia».       All’inizio degli Anni Sessanta i due fratelli Judica Cordiglia, appassionati di telecomunicazioni, come molti altri radioamatori cominciarono ad allestire in casa un piccolo centro di ascolto, in gran parte con attrezzature di loro produzione. In seguito, grazie a un accordo con il Comune di Torino, trasferirono l’attività in un vecchio bunker tedesco in collina, a San Vito, ribattezzato Torre Bert.       In quegli anni di pionerismo spaziale da parte di Usa e Urss, i fratelli Judica Cordiglia riuscirono a captare i messaggi inviati dai cosmonauti russi dello Sputnik 1 e 2 e anche, assicurarono, le richieste di aiuto di alcuni equipaggi morti nello spazio a causa di guasti delle loro navicelle. Fallimenti che Mosca ha sempre negato.    Giovanni e Luca non avevano esperienze di recitazione, ma si sono tuffati con grande entusiasmo nell’avventura spagnola. «Gli ha dato una mano mio fratello Giancarlo – sottolinea il padre – che è attore professionista, diplomato allo Stabile con Ronconi. Li ha aiutati a studiare il copione e a immedesimarsi nel nonno e nel prozio».